Longa MayDay, prossimo appuntamento

ALCUNE RIFLESSIONI
L’autunno dell’onda anomala, dello sciopero del sindacalismo di base,
dell’agitazione dei lavoratori Alitalia, sembra aver ridestato un corpo
sociale assopito.
La finanziaria 133 del Tremonti, il decreto Brunetta e la 137 della Gelmini
rappresentano
un progetto coerentissimo che mette ordine ed equilibrio nel "percorso vita"
integrazione-formazione-produzione. Dal loro punto di vista, ovviamente.

DALLA 133 ALLA 137 PASSANDO SULLE NOSTRE VITE
La scuola primaria italiana è considerata una scuola d’eccellenza
e la sua importanza supera il ruolo strettamente didattico. E’ il luogo
dell’integrazione dove figli e figlie dei migranti e dei nativi giocano,
imparano, crescono assieme. Questa eccellenza per i nostri governanti è un
costo troppo elevato, ma soprattutto va nelle direzione "sbagliata":
l’integrazione non è mai a senso unico ma assume l’ aspetto della
contaminazione e dello scambio reciproco fra diversità (declinazione poco
apprezzata dalla componente nazional-leghista del governo).
L’obiettivo spudorato è quello di creare percorsi di scolarizzazione a diverse
velocità, con un’impostazione chiaramente classista e razzista.

Per quanto riguarda la formazione ci rimettiamo alle giuste riflessioni
dell’onda anomala. Aggiungiamo solo che l’eccellenza in questo
caso gioca il ruolo opposto e costituisce il pretesto per smantellare il
diritto allo studio. Il fine è abbastanza ovvio: per alcuni italiani, i
più italiani, si vuole prenotare un futuro vissuto in prima classe, per
tutti gli altri una semplice opzione per una formazione "low-cost".

La frammentazione del lavoro che ne consegue garantisce quella gerarchia di
"classe" che fa si che siano precari, lavoratori, nativi o migranti, a
scannarsi fra di loro.
Ma questo disegno si può "apprezzare" nella sua interezza se viene
osservato dall’ultimo termine della filiera
integrazione-formazione-produzione. Il sistema Italia è una specie di mulo
nel panorama capitalista. Si lavora tantissimo, si sgobba ancora di più,
si producono semilavorati, e li si produce a basso costo. A parte qualche
settore, moda, design – e pochi prodotti di lusso, tipo Ferrari – è un
sistema senza caratteristiche proprie, non eccelle in niente, non è
presente nelle produzioni avanzate (nelle telecomunicazioni o nelle
nanotecnologie per esempio) e quindi crea profitto abbassando continuamente
il costo del lavoro e disinvestendo nell’innovazione.

In questo senso l’attacco al contratto nazionale e la volontà di legare
l’aumento dei salari alla produttività sono una truffa pazzesca (visto che
la produttività è data a sua volta dall’aumento dei ritmi di lavoro o
dall’innovazione tecnologica) che scarica sul lavoratore l’incapacità dell’imprenditore
di fare il proprio mestiere.

Il quadro è quindi chiaro: queste riforme correggono la strozzatura che si
insinua fra una forza lavoro necessariamente sempre più dequalificata e un
sistema formativo che bene o male produce troppi laureati che andranno a
lavorare in un call center o diplomati che concorreranno con i migranti a
trasportare merci.
Inoltre non essendo il sistema produttivo italiano orientato
all’innovazione anche l’ambiente universitario ne risentirà contenendo la
qualità e selezionando gli obiettivi della ricerca. In questo senso la
retorica anti-baronale del governo è ammirevolmente ipocrita. Diciamo che
è tutto funzionale al più a selezionare chi fra i docenti è amico e
nemico, ovvero chi gestirà i fondi rimasti.
La legge 133 non si pone assolutamente l’obiettivo di tagliare il cordone
ombelicale che sancisce il controllo verticale dei fondi. Ben fa, chi, fra
dottorandi, assegnisti e ricercatori, in questi giorni di onda anomala,
oltre che rivendicare il sacrosanto diritto di uscire dal ricatto della
precarietà perenne, sta ponendo anche una questione di libertà e qualità della
ricerca e dei saperi.
Ma sappiamo che la Legge 133 è anche molto altro: da un lato taglia i
fondi ai servizi sociali (sanità e servizi di pubblica utilità) ,
dall’altro privatizza l’acqua e – grazie al caso Alitalia – riduce i già
scarni diritti del lavoro, consentendo, ad esempio, la possibilità di
vendere un ramo d’azienda senza più garantire il contratto e le condizioni
di lavoro di partenza.


LA CRISI, IL CONTO E L’OSTE DELLA MALORA

"Non pagheremo la vostra crisi" è lo slogan condiviso che è ha
attraversato le mobilitazioni di questi mesi. Chi ne ha criticato la
semplicità lo ha fatto fuori luogo. Questa espressione è un’ipoteca per
il futuro. Quando fra qualche mese la crisi si farà sentire in modo ben
più deciso tanto più questo slogan avrà avuto eco tanto più si avrà la
possibilità di spiegare chi la crisi la deve pagare. Sulla crisi ci siamo
già espressi il 17 ottobre visitando la borsa.
/files/volantinoborsa.pdf

Ora è un altro l’aspetto che vogliamo sottolineare. L’attacco ai diritti
dei lavoratori avviene tramite l’uso retorico delle categorie
"privilegiati" o "fannulloni". Dei due è il primo ad essere il più
insidioso.
Bisogna fare molta attenzione. Il motivo per cui l’uso del termine
"privilegiati" riscuote successo poggia non tanto sul fatto di
essere vero (e non è vero!) bensì su una spaccatura sociale enorme ove
interi strati di popolazione vivono condizioni di vita distanti anni luce
dalle lotte, dalla possibilità di rivendicare diritti, e non vedono
neanche l’ombra di riferimenti sindacali, sociali, culturali, di fronte a
sé, nei territori, nei luoghi di lavoro. Vi sono intere praterie sociali
allo stato brado dove i sindacati, molto attenti alle tessere, al loro
numero, a competere per esse, hanno deciso vuoi per età vuoi per
incapacità di non intervenire.

In questi mondi la sinistra non è assente: è scomparsa! Che è una cosa
ben peggiore.

PRECARIE E MIGRANTI, LONGMAYDAY
Il 12/12/008 è un importante appuntamento, importantissimo. E’ necessario
che alle mobilitazioni studentesche si sommino la parola dei precari e
della precarie, dei e delle migranti che rischiano di pagar duramente per
primi il prezzo della crisi. Per i primi infatti non è previsto nessun
salvagente, per i secondi invece si prospettano innovative forme di
estradizione sociale.
Il pacchetto sicurezza in discussione al Senato rende bene l’idea: prevede
che oltre a vessare economicamente i migranti, con aumenti fino a 200 euro
per la domanda di permesso di soggiorno e 10.000 euro di multa per il
"reato di clandestinità", aumenta i Cie (ex-Cpt) e i meccanismi di delazione e
controllo, oltre a limitarne l’accesso legale per favorire l’incremento di
forza lavoro clandestina, ricattabile, precaria, senza diritti umani,
civili e sociali. Pensiamo che il percorso longmaydayano su questo abbia
ragionato molto.

PROPOSTA DI INCONTRO E DI CONFRONTO
Volendo escludere che questa crisi sia definitiva, crediamo che da essa ci
si possa uscire solo in due modi diversi, uno molto negativo e uno
positivo.
Nel primo caso la perdita dei posti garantiti non troverà più
una collocazione di eguale stabilità. In questo caso la forza lavoro
diventerà maggiormente precaria (nativa o migrante che sia) con tutte le conseguenze immaginabili.
Il caso Alitalia, invece, diventerà il modello delle prossime privatizzazioni.
Lo schema è semplice: ogni attività pubblica verrà scorporata in due parti.
Le parti che producono utili si regalano agli amici/imprenditori,
quelle che generano passività, rimangono a carico della collettività (che le paga).
Allo smantellamento dell’istruzione seguirà quello della sanità,
per poi assaltare ciò che rimane dello stato sociale.

Nel secondo caso invece, quello positivo, se ne uscirà solo guardando in
avanti, molto in avanti:
1) definendo un proposta di nuovo welfare
inclusivo e capace di esserlo sul serio.
2) mettendo in campo nuove forme di sindacalismo ed intevento sociale
che sappiano tutelare i più ricattati.
3) essendo capaci di elaborare una critica al modello di sviluppo
del liberismo contemporaneo, ponendo al centro un’idea qualitativa della
vita, partendo proprio dalla concretizzazione della libertà e della
condivisione dei saperi che auspichiamo centrali nell’università del
futuro e nella pratica politica di tutti i giorni.

Ci fermiamo perchè pensiamo che di questi ultimi tre punti se ne debba discutere
collettivamente. Ci aspettiamo anche altri contributi e proposte.
Nel frattempo proponiamo, per chi ne è interessato, un’assemblea:

Domenica 30 Novembre 008
Ponte della Ghisolfa – viale Monza 255 – Milano
dalle ore 11.00

www.chainworkers.org
– www.precaria.org

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