L’era glaciale
C’e’ chi invoca Dio e chi chiede soldi veri. C’e’ chi canta la fine del capitalismo, c’e’ chi domanda l’allargamento degli ammortizzatori e chi dice che non serve niente di più di quello che gia’ c’e’, visto che lo stato sociale italiano e’ una macchina che si avvicina alla perfezione.
Ci pare che il dibattito si sviluppi su canovacci volutamente goliardici e un po’ assurdi, pur di non toccare le note dolenti, dietro le quali si nascondono temi salienti (rimanendo ancorati, per ora, alle tematiche nazionali).
Nella crisi e dopo la crisi, come si ricollochera’ l’italia all’interno
della filiera produttiva globalizzata? Come si trasformera’ il tessuto
produttivo italiano? Quali settori si indeboliranno, quali altri si
affermeranno? Come cambiera’ il mercato del lavoro? Quali provvedimenti
saranno necessari per evitare decadenza e povertà?
Le risposte, ovviamente, non sono immediate. Questo solo invito non può
pretende di sciogliere quesiti di tale portata. Ma di una cosa siamo
certi: la crisi rimandera’ con immediatezza alle questioni legate alla
precarizzazione, che si affermera’, all’incapacita’ italiana di gestire
l’innovazione, perseverando nel disinvestimento nella conoscenza da un
lato e nelle diversificazioni macroregionali dei comparti produttivi e
della forza lavoro dall’altro: sottooccupata al Sud e totalmente
precarizzata al Nord, mentre ovunque si inaspriscono le vessazioni
contro i migranti.
Cio’ che e’ certo e’ che per ora la crisi sta generando una specie di
"effetto calamità" che aumenta il consenso nei sudditi, nei "governati"
piuttosto che diminuirlo. La cosa non deve sorprendere, infatti la
crisi viene vissuta come un elemento esogeno, alieno: non contiamo
niente, nel bene e nel male, nell’economia globalizzata. Questa
sensazione non durera’ a lungo: entro breve l’incapacita’ di gestione
dell’emergenza, fara’ intuire la debacle, dietro le quinte, e a quel
punto sulla scena se ne vedranno di belle (o di molto brutte).
Sul fronte delle soluzioni la pensiamo così.
Questa crisi ha visto il governo e le imprese attaccare, puntare
all’offensiva. I primi a ritagliarsi un ruolo di salvatori della
nazione, attaccando il contratto nazionale, limitando il diritto allo
sciopero; i secondi tutti intenti a ristrutturare e a precarizzare,
licenziando e non rinnovando i contratti precari, non investendo nei
propri comparti produttivi, concentrati solo nel tentativo di
conservare comunque in profitti.
Il centro destra propone aggiustamenti degli ammortizzatori, il centro sinistra, capitanato da Franceschini detto Cuor di leone,
ne propone l’allargamento [1]. La Confindustria prima o poi si
decidera’ ad approvarle. Hanno un costo modesto, riguardano poche
persone, fungono quindi da espediente (per loro), e consentono di
lasciare intatto il "gioco" della precarizzazione.
Ci sembra quindi estremamente utile focalizzarci su alcune cose.
Allargare gli ammortizzatori sociali rappresenta sicuramente una
novita’ dal punto di vista delle proposte politiche del centro
sinistra. Vi e’ almeno il riconoscimento del ruolo del precario non
come marginalita’ ma come coprotagonista nella produzione della
ricchezza nazionale. La verita’ pero’ e’ ben piu’ tragica:
l’ammortizzazione sociale si fonda su un’idea di produzione, su
condizioni lavorative oramai lontane dalla realta’.
Il suo ampliamento serve di piu’ alla propaganda confindustriale che alla "causa precaria".
Solo una piccola parte della forza lavoro vi puo’ accedere (il 20%)
[2], quale potrebbe essere il valore del suo ampliamento? Modesto. E la
sua utilita’ per ciò che concerne una valorizzazione, un rafforzamento,
del ruolo del lavoro nell’economia? Nulla. Quindi se l’allargamento
degli ammortizzatori sociali dimostra una certa novita’ politica nel
centro sinistra, concretamente significa ben poco. Che sia chiaro! Per
chi vive nella precarieta’, anche "il poco" puo’ rappresentare una
differenza sostanziale.
Noi che viviamo nella precarieta’ ve lo possiamo confermare ma abbiamo il diritto/dovere di dirvi a cosa aneliamo.
Non un allargamento degli ammortizzatori sociali, neanche una loro
riforma, poiche’ questa aggiusterebbe un sistema di tutela che e’ stato
creato ad immagine e somiglianza di un’italia che non esiste piu’:
quella fordista.
E’ necessario pensare invece un welfare che sappia interagire con la
flessibilita’ del lavoro, capace di spostare i diritti dal contratto
verso la persona, di garantire una continuita’ di reddito sganciato
dalla prestazione lavorativa, in modo da ampliare la scelta, e quindi
il rifiuto dei lavori tossici.
Una condizione dalla quale puo’ sorgere un nuovo conflitto capace di
rivendicare reddito, diritti ma anche riappropriazione dei beni comuni
(conoscenza, formazione, informazione, mobilità, casa, socialita’,
accesso alla moneta).
La MayDay deve calibrarsi su quest’onda, sapendo nel medesimo tempo
indicare un percorso di analisi, di agitazione, di critica ad un
modello di sviluppo insostenibile. Noi, precari e precarie, nativi o
migranti, dobbiamo collocarci "altrove", definendo con precisione cio’
che vogliamo, il modo con cui lo otterremo.
"Altrove" e’ un ragionamento compiuto sulla natura e sulla riforma del
welfare, "altrove" e’ anche una critica al modo di sviluppo, "altrove"
e’ una riattualizzazione del conflitto nell’era precaria e "altrove" e’
un’idea precisa delle solidarieta’ fondati ed irrinunciabili da cui
partire.
[1] Ci riferiamo alla proposta dell’assegno unico di disoccupazione.
[2] Ovviamente, ci si riferisce alla forza lavoro disoccupata. Per
quanto il dato sia sorprendente diverse fonti – da Tito Boeri ad uno
studio del Partito Radicale – lo confermano.
_ Sabato 04.04.009 ore 15.00
Ponte della Ghisolfa, viale Monza 255, Milano
Presentazione del lavoro di ricerca:
"Precari giochiamo a fare la crisi?"
_ Sabato 04.04.009 ore 16.00
Ponte della Ghisolfa, viale Monza 255, Milano
Assemblea in preparazione dell’EuroMayDay 009
_ Martedì 07.04.009 ore 19.00
Università degli Studi di Milano, via Festa del Perdono
Universi precari parte seconda:
lavori della conoscenza
Intelligence Precaria
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