In tre puntate pubblichiamo un approfondimento di Faber sul reale senso dei Cie, i centri di identificazione ed espulsione (ex cpt). Luoghi oscuri, attraverso i quali le genti italiche placano le proprie paure, ma che non servono a niente, se non a rendere la nostra coscienza ancora più nera.
LA MACCHINA DELLA PAURA (prima parte)
Le coste del Mediterraneo si dividono in due,
di partenza e di arrivo, però senza pareggio:
più spiagge e più notti d’imbarco, di quelle di sbarco
toccano Italia meno vite di quante salirono a bordo.
A sparigliare il conto la sventura, e noi, parte di essa.
Eppure Italia è una parola aperta, piena d’aria.
Erri De Luca
Qualche giorno fa Roberto Saviano spiegava nel programma di Fazio il funzionamento della cosiddetta “macchina del fango” usata per diffamare e delegittimare le persone non gradite. Da ormai molti anni in Italia (e non solo) è attivo un altro dispositivo molto più potente poiché coinvolge la vita di moltissime persone: questo meccanismo può essere definito “la macchina della paura”. Vediamo da dove nasce e a cosa serve.
La fine del secolo passato ha visto il pieno realizzarsi della scomparsa delle frontiere per merci e capitali ma si è sempre più caratterizzata dall’ergersi di nuovi muri per arginare i corpi dei migranti che cercano di attraversare i confini alla ricerca di un lavoro o in fuga da guerre e regimi dittatoriali. Le frontiere divengono quindi centrali nei processi di differenziazione e di esclusione che colpiscono migranti, ma anche altre categorie di poveri e marginali. I confini, costitutivi dello Stato, non sono solo materiali, ma anche simbolici, sociali e giuridici.
Per giustificare da una parte l’esistenza di diversi regimi di circolazione (è evidente la differenza, in termini di accesso alla mobilità, che separa un ragazzo marocchino da uno italiano, oppure un migrante “regolare” da un “sans papier”) e dall’altra l’esigenza della continua ridefinizione dei confini (in senso ampio) c’è bisogno di un’ideologia forte e questa viene individuata nella cosiddetta “tolleranza zero” (divenuta celebre negli anni ’90 grazie al sindaco repubblicano di New York, Rudolph Giuliani) altrimenti detta “securitaria”. Secondo tale dottrina, presentata come verità evidente, la società va difesa da ogni forma di devianza possibile: non solo migranti e profughi, ma anche tossicodipendenti, prostitute, accattoni, writers e lavavetri (non a caso bersagli di innumerevoli ordinanze comunali degli aspiranti sceriffi nostrani da Cofferati a Tosi). Il disagio sociale, la marginalità (che cresce in questo periodo di crisi nella misura in cui cresce la precarietà sociale) deve essere gestita penalmente ed ecco comparire l’esercito nelle strade… Qui entra in scena la “macchina della paura”: la popolazione migrante diviene la nuova “classe pericolosa” cioè un gruppo sociale potenzialmente deviante su cui esercitare da una parte un’opera di prevenzione e contenimento penale e dall’altra una potente campagna di criminalizzazione mediatica. Senza dimenticare di sfruttarne il lavoro e i contributi all’economia nazionale: in Italia l’apporto essenziale dei quasi 5 milioni di migranti (8% della popolazione) è ormai superiori al 10% del PIL.
In questo contesto i Centri di identificazione ed espulsioni (che hanno sostituito i Cpt creati nel 1998 dalla legge Turco-Napolitano) sono perfettamente funzionali alla creazione di quell’estraneo verso cui è canalizzato il malcontento dei cittadini in particolare con l’approssimarsi di scadenze elettorali
Continua….
Leave a Reply