di Marco Lillo
Il boss di Wind è pieno di debiti. E deve chiudere diverse attività. Ma rilancia puntando sull’acquisto di Tele2. Ecco i piani del magnate egiziano.
Naguib Sawiris con l’ex ad
di Wind, Tommaso Pompei
Wind è a una svolta. La compagnia telefonica in pochi giorni ha cambiato
guida, varato un mega-rifinanziamento del debito e avviato la cessione delle
sue torri. A ‘L’espresso’ risulta però un altro azzardo del magnate egiziano
Naguib Sawiris: l’acquisto di Tele2 Italia. Trattativa iniziata malgrado un
indebitamento arrivato ai livelli di guardia. Con l’aiuto di Lehman
Brothers, il 5 luglio scorso, Wind ha predisposto un’offerta per comprare
Tele2 a un prezzo che si aggira tra i 370 e i 450 milioni di euro. Con il
nome in codice ‘Flybook’, l’operazione punta ad acquisire il pacchetto
clienti della filiale italiana della società svedese, ma non i suoi
dipendenti. Un modo per rimpolpare la quota di mercato della compagnia
telefonica e migliorare i margini di business nel fisso, sempre più
risicati.
L’ex numero uno della società, Paolo Dal Pino, ha lasciato la guida di Wind
al suo direttore finanziario, Luigi Gubitosi, dopo essere entrato in
conflitto con lui sulla strategia aziendale. Tra i due, il ‘faraone’ ha
scelto di buttare giù dalla piramide l’amministratore delegato. Con Gubitosi
il baricentro di Wind si sposta verso le banche e verso Il Cairo. Un
terremoto che sta passando inosservato nei palazzi romani nonostante le
promesse fatte da Sawiris ai tempi dell’acquisizione da Enel.
Una cifra fa impressione. Quei 600 milioni di euro a cui arriverebbe il
totale di commissioni e consulenze incassato dalle banche e dai grandi
investitori istituzionali per le operazioni di indebitamento del magnate
egiziano. Mister Sawiris, pur di comprare il secondo operatore italiano, ha
messo in azione un’idrovora di risorse che succhia i soldi dai telefonini e
li dirotta alla finanza internazionale. Invece di finire in investimenti che
avrebbero generato infrastrutture e ricchezza per il nostro paese, quelle
risorse entrano nelle casse dei soggetti finanziari coinvolti nelle
operazioni che hanno permesso al topolino africano di ingoiare l’elefante
italiano. Non senza qualche sintomo di indigestione.
Tutto inizia con l’acquisizione: Sawiris, cristiano copto del Cairo,
titolare di un piccolo gruppo telefonico che cresce velocemente in Africa e
Asia, investe poche centinaia di milioni di euro nella conquista di Wind.
Un’operazione che gli riesce solo grazie al megaprestito di Abn Amro,
Deutsche Bank e Imi San Paolo. A Londra lo chiamano: "Pay for play". Sawiris
paga le banche con laute commissioni e loro gli garantiscono finanziamenti
generosi. Sui dodici miliardi di debito dell’acquisizione, per esempio, sono
volati 360 milioni di euro tra spese di consulenza e commissioni. Le banche
‘giocano’ ancora con Sawiris un anno dopo, con il lancio della seconda
tranche di finanziamenti che si stima abbiano fruttato loro 40 milioni. Ora
Sawiris, secondo quanto risulta a ‘L’espresso’, sta per sborsare altri 192
milioni, in buona parte destinati alle quattro banche che accompagnano la
ristrutturazione del debito appena partita. Wind nega di avere dato tutti
questi soldi e precisa: "Le commissioni per l’acquisizione ammontano a poco
più di 310 milioni di euro". Comunque tanti. E tali da giustificare l’ottimo
feeling tra le banche e la coppia Sawiris-Gubitosi.
Il signore del debito
L’approdo alla poltrona di amministratore delegato dell’ex direttore
finanziario della Fiat prelude dunque a una ristrutturazione del debito
Wind. Che oggi ammonta a poco più di 9 miliardi, così suddivisi: 5,8
miliardi sono in capo a Wind, che li garantisce con i suoi asset, altri 1,5
miliardi sono i bond tradizionali e poi c’è il cosiddetto debito pik da 1,8
miliardi che insiste sulla società Wahf (Wind acquisition holding finance),
controllata attraverso un trust di beneficienza dal gruppo Weather
Investments di Sawiris. Wahf sta chiedendo il consenso agli obbligazionisti
per rimborsare anticipatamente questo prestito troppo oneroso.
Il magnate egiziano ha spiegato così la sua scelta: sul mercato dei capitali
oggi Wind può avere un tasso di interesse molto inferiore a quello
concordato nel 2005. Sotto la guida di Dal Pino la società ha tagliato costi
e investimenti. A differenza dei rivali non ha speso un euro per sviluppare
la rete Umts e il modello ‘low cost’ si è rivelato vincente in particolare
nel mobile. Nonostante le difficoltà del fisso e della banda larga, la
società ha dimostrato di essere in grado di ripagare il suo debito
anticipatamente. Sono lontani i tempi nei quali Wind faceva paura e i suoi
bond erano etichettati dai giornali come ‘junk’, cioè spazzatura. Il
rifinanziamento ai tassi odierni, dicono le stime di Wind, porterà un
risparmio di 100 milioni di euro all’anno. Eppure qualcosa non quadra.
Le commissioni per le banche e le ‘penali’ per i detentori dei bond superano
di molto questo ipotetico risparmio e fanno sorgere qualche dubbio sulle
reali intenzioni di Sawiris. A ben vedere il ‘faraone’ non punta solo al
rifinanziamento a tassi più bassi, ma vuole anche distribuire alla sua
holding le riserve prodotte dalla compagnia italiana.
La concorrenza è mobile
Ripartizione dei nuovi clienti
al netto di quelli persi
(2006, fonte: Wind)
Al termine dell’operazione Wind avrà 1,8 miliardi di debito in più e la
società controllante, Weather Investments, si sarà liberata di questo
fardello. La mossa non è piaciuta all’agenzia di rating Fitch che ha messo
in osservazione negativa Wind. Spiega David Shnaps, l’analista che segue
Wind per la Fitch: "Il miglioramento dei ricavi aveva permesso alla società
di ripagare anticipatamente il debito contratto per l’acquisizione. Per
questa ragione, tra le altre, a maggio avevamo migliorato il rating di Wind.
Quel percorso positivo è stato interrotto con la scelta di rifinanziare il
prestito ‘pik’ della controllante aumentando il debito di Wind".
O la Borsa o la vita
Lo spostamento a valle della montagna di debiti serve a Sawiris per liberare
Weather e renderla appetibile in vista della quotazione in Borsa a fine
anno. La holding del gruppo ha in pancia solo partecipazioni (la greca
Tellas e il pacchetto di controllo di Orascom, oltre a Wind), ma il
collocamento dovrebbe fruttare comunque 3,2 miliardi di euro. Probabilmente
960 milioni saranno usati per saldare l’Enel per l’acquisto della quota di
minoranza della società. I restanti 2,2 miliardi non necessariamente
andranno a Wind. Potrebbero finire in Grecia o altrove. Al termine di questa
rivoluzione saranno in pochi a ricordare le promesse del 2005, quando
l’egiziano doveva convincere i politici a dare semaforo verde al suo
ingresso in Italia. "Wind diverrà il centro di un grande gruppo
internazionale basato a Roma"; e ancora: "Il management resterà immutato e
italiano". Sono passati due amministratori delegati, nei briefing si parla
arabo e Wind sembra una periferia dell’impero, sempre più indebitata per
sostenere investimenti che poco hanno a che fare con il suo sviluppo.
Decisioni sotto le Piramidi
In azienda si avverte uno spirito di rivalsa e sfiducia dei capi egiziani
sui dirigenti italiani. L’aria è pesante. Gli acquisti sono teleguidati dal
Cairo. Il vero uomo forte è il giovane egiziano Khaled Bichara. Sotto la sua
direzione la telefonia fissa ha visto ridursi i margini da 621 a 595 milioni
di euro. Nonostante la performance, il pupillo di Sawiris (già arrestato nel
2004 negli Stati Uniti per frode poi sanata con un’ammissione parziale di
colpa e una multa) è stato promosso direttore generale con le deleghe più
pesanti.
Si potrebbe pensare che l’operazione Tele2 sia farina del suo sacco, essendo
Bichara competente sull’area del telefono fisso. Invece sembra cheil grande
sponsor dell’acquisto sia Alessandro Benedetti, il discusso mediatore
dell’operazione Wind, mister 90 milioni di euro.
Anche le promesse di Sawiris di aiutare la ricerca e creare un nuovo call
center in Sicilia e uno in Puglia, hanno avuto vita breve. Il faraone ha
deciso di tagliare i finanziamenti alle università e di cedere il call
center di Sesto San Giovanni alla Omnia, garantendogli 5 anni di
tranquillità grazie a una commessa blindata. Un mese fa dal Cairo è arrivata
la richiesta di studiare il passaggio del traffico dei customer care di
Ivrea, Roma e Sesto San Giovanni, verso un grande call center che il gruppo
Orascom ha intenzione di costruire a Tunisi. Intanto a settembre partirà il
trasferimento delle funzioni direzionali della telefonia fissa da Milano a
Roma. Una mossa osteggiata dai sindacati con uno sciopero. Al termine del
2007 si prevede che i lavoratori di Wind scenderanno a 6.700 da oltre
settemila attuali. Altri 450 potrebbero uscire dallo spin-off dei
ripetitori.
Operazione tower
Lo scorporo e la cessione della rete delle grandi torri Wind per fare cassa,
partita in sordina sei mesi fa, ha subito un’improvvisa accelerazione negli
ultimi tempi. L’idea di Dal Pino era quella di mettere insieme i grandi
ripetitori di Tre con quelli di Wind e anche di Vodafone per poi affidarne
la gestione a una società da vendere al miglior offerente. Gubitosi, invece,
sembra preferire alla gara la trattativa privata con una cordata composta da
Autostrade (che conferirebbe i suoi ripetitori) e Sirti, controllata dal
Fondo Clessidra. Per la guida della nuova società circola il nome di
Francesco Di Giovanni, in buoni rapporti con Gubitosi e attualmente partner
in una società di consulenza di un altro ex uomo Fiat, Roberto Testore. Ma
tutti smentiscono.
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