Oramai è passata una settimana dall’omicidio del ragazzo di origini egiziana. I fatti sono noti: una lite su un autobus, la rissa e l’accoltellamento.
La rivolta che ne è seguita, dopo aver oscurato il dramma di una morte tragica, ha scaldato le pagine dei media e gli animi della politica.
Per alcuni giorni viale padova è stata invasa da telecamere, microfoni, furgoni parabolanti.
Un gazebo de Il Corriere della Sera è stato posizionato nel tentativo di raccogliere gli umori di una via che ci viene descritta da tutti, ma proprio tutti, come una ensamble di immigrazione e degrado, che ha il proprio inizio in piazzale Loreto, a due passi dal centro, e finisce alla tangenziale dopo aver attraversato un quartiere iper-etnico. Come se questa descrizione potesse aiutarci a capire qualcosa.
Questa pennellata panoramica invece ci confonde perchè rende uniforme ciò che in verità è variegato e multiforme.
Via Padova è vivace e spigolosa, colorata e multietnica, è una via sicuramente difficile, ma anche stimolante, non è pulita e ordinata come qualcuno vorrebbe, ma proprio per questo non è asettica e indifferente come molti quartieri di Milano. E’ varia e disordinata, ma il disordine è tutto: randagismo, mescolanza, cambiamento.
La prima parte, fino alla ferrovia per intenderci, è una specie di alter ego di corso Buenos Aires, una concentrazione enormi di negozi di abbigliamento e ristorazione. Ma se corso Buenos Aires è l’apoteosi del conformismo popolare fatto di brand, via Padova è un insieme scompaginato di outlet, cinesi e latini che vendono tutto, minimarket etnici, est-asitici, mediorientali, sudamericani, africani, negozi autoctoni, bar, kebabbari, pizzerie e ristoranti. In questi si coltivano abbinamenti curiosi ed audaci. Possiamo trovare la cucina latino-egiziana, latino-cinese, italo-cinese e così via; il mcdonald è provincia, questo è il mondo!
In verità anche questo primo tratto è composto da due parti divise da una rotonda. Verso il centro vi è la parte by night, sempre in movimento, dalla parte opposta vi è invece il parco Trotter, vero e proprio centro inter-culturale ove, malgrado i tagli dell’infame Gelmini, si vive un’atmosfera d’impegno multietnico.
Il lavoro svolto da associazioni,insegnanti e genitori con tutte le difficoltà possibili e immaginabili, è un lavoro dal valore incommensurabile.(1)(2) Veramente mitica, durante l’Onda universitaria, è stata l’iniziativa che ha portato ricercatori e professori universitari al Trotter dove tutte le classi medie ed elementari si sono divise e riaggregate per assistere lezioni di chimica, economia, urbanistica e politiche multiculturali.
Dopo la ferrovia il quartiere si calma ma non tace, il mercato comunale, negozi più tradizionali ed alcuni locali mantengono vivace la via. E’ qua che si colloca la Moschea che a sua volta funge da spartiacque. Oltre, verso Ponte Nuovo, i quartieri assumono un aspetto da vera periferia milanese. Durante il giorno la vita scorre intorno al supermercato ed ai negozi ma la sera cade un profondo silenzio, come accade altrove e da sempre nella periferia della città.
Lungo via Padova c’è degrado ? Certamente; ovunque si incontrino povertà ed emarginazione,che siano autoctone o multietniche, si creano forti situazioni di disagio. Non c’è da negarlo, lo spaccio è forte, fortissimo, ma non dobbiamo neanche dimenticaren che è la domanda a comandare l’offerta! In altre parole: la cocaina viene venduta a persone di pura razza Italiana, e viene importata da cartelli mafiosi di altrettanta certificata italianità. Possiamo continuare a pensare che il problema sia l’intermediario straniero?
Ribaltiamo la questione: nel quartiere c’è solo degrado? Assolutamente no, anzi, c’è ricchezza e
vitalità. Via Padova è tutt’altro che un quartiere dormitorio stile anni settanta. C’è forse un solo particolare a renderlo simile, la difficoltà per chi viene da fuori (fuori dal quartiere) di carpirne i meccanismi, le peculiarità, i ritmi, gli odori, i linguaggi. E se il quartiere cambia chi rimane fermo è come se venisse da fuori. Eh sì, per un pensionato nostrano dev’essere difficilissimo vivere in un mondo che gli appare alieno e a lui va il mio rispetto e la mia attenzione, ma il futuro non è il paese dei vecchi, d’altronde la sua pensione la pagano i migranti.
Negli sproloqui giornalistici tutta questa complessità scompare. Il peggiore degli articoli d’opinione che ho letto, proprio perchè non veniva dal La Padania, o da Il Giornale, è sicuramente quello di Panebianco, sul Corriere (3). Mi chiedo che serva tenere un banchetto per alcuni giorni sulla via per raccogliere testimonianze se poi queste vengono impacchettate e valutate in modo così superficiale. L’illustre “commentatore” individua (per lui) chiaramente i due problemi della via: i clandestini e il quartiere ghetto.
Sui clandestini è chiaro: non servono buonismi di sorta, sono loro i facinorosi che hanno messo in scena la protesta danneggiando i proprio connazionali che hanno voglia di lavorare. Eliminata la cricca, finito il problema. Peccato che fra i 40 fermati solo una decina fossero clandestini, un pò pochini per fare tendenza. A Milano ci sono 200000 migranti, e 50000 irregolari, considerando la peculiarità multietnica e popolare di via Padova direi che siamo nella media
D’altronde il Nostro non pare accorgersi della sciocchezza implicita nel suo ragionamento: i migranti regolari sono una ricchezza, quelli clandestini un problema Questa affermazione così netta si sbriciola di fronte alla costatazione che chi è oggi regolare, ieri, per come funziona l’Italia, “militava” fra gli irregolari (quindi fra i clandestini). Non è quindi la clandestinità in sè ad essere lo spartiacque fra la ricchezza e il problema bensì è la marginalizzazione che si crea con l’istituzionalizzazione della clandestinità come reato.
Sui quartieri ghetto il Panebianco non ha molto da dire: è una questione di mercato, e il Corrierone insiste molto su questo punto (4). Il meccanismo, ci viene detto, è semplice: prima si vendono e si
affittano gli appartamenti a stranieri, a tanti stranieri. Questo darà luogo al fuggi-fuggi generale, o almeno di chi può permettere il lusso di andare a vivere altrove, poi il degrado farà il resto; farà il ghetto. Come prova definitiva viene citato un film visto la sera prima.
Questo fenomeno socio-urbanistico non ha un nome, perchè (in sè) non esiste.
Esiste il suo contrario però, la gentrificatione,(5) che è la stessa cosa ma di segno opposto. In due parole: nei quartieri popolari avviene una rivalutazione dovuta ad investimenti di carattere commerciale, urbanistico e amministrativo tali da favorire un’espulsione dei ceti popolari e ad un imborghesimento della zona.
Ecco la corretta visuale da cui vedere il problema! La creazione di zone problematiche ad alta concentrazioni di povertà avviene attraverso l’espulsione massificata dei meno abbienti da altri quartieri. Sono i ricchi e la loro volubile alterigia e ingordigia a disegnare la città. Certo, ci sono anche gli speculatori d’accatto, quelli che guadagnano affittando un appartamento a venti immigrati, ma questi rappresentano il buco del culo del mondo: piccole carogne abituate a rosicchiare gli scarti degli altri
Quindi, per voler essere buoni col Panebianco, i due fenomeni fanno parte di un unico processo, che ha un nome riconosciuto, gentrificazione, che ci spiega come la povertà tenda a concentrarsi in determinati luoghi. Allora diciamocelo ancora, per tenerlo bene in mente: non è una questione di mercato, è una questione politica. E l’expo peggiorerà le cose
Anche questo, però, non basta a raccontare ciò che accade in viale Padova.
Vi è infatti un altro errore nei ragionamenti del nostro opinionista: le comunità non vivono nello stesso luogo per questioni di mercato, come lui afferma, bensì, anche e soprattutto, per mettere in moto dei meccanismi di autotutela culturale, sociale e politica. E questo è inevitabile e giusto. Basta leggere i commenti dei nostri politici per farsene un’idea Sul termine integrazione si gioca infatti una partita importante.
Ebbene, quando si dice che si è pronti ad accettare i migranti capaci di adottare i nostri valori culturali e di impegnarsi nel lavoro senza romper le balle non si sta parlando di integrazione, ma si sta chiedendo una prova del sangue, lo sradicamento dalle proprie origini e dalle proprie necessità/diritti. Questo è il prezzo che chiediamo agli stranieri per essere benvoluti: l’annullamento di se stessi. Si capisce ora il motivo per cui le comunità migranti tendono a concentrarsi in un medesimo luogo? Per difendersi da noi
Torniamo agli sproloqui.
Ormai ci è chiaro che non è sufficiente una forte concentrazione di etnie per fare un ghetto, ma serve che le comunità vengano isolate da ciò che le circonda. Anche questo è un problema politico.
E guarda caso è un problema che ha dei responsabili. Come possiamo leggere da questi comunicati, (6) (7) di associazioni storicamente presenti e attive sul territorio, si capisce che il primo responsabile di questo isolamento, dell’impoverimento socio culturale della zona è l’amministrazione comunale che ha fatto di tutto per disinvestire nel quartiere.
Paradossale Il Giornale che nel tentativo di screditare il piglio autoritario di Penati (un cretino patentato) lo accusa di aver finanziato percorsi di reinserimento educativo rivolto alle bande di strada sudamericane nel 2007 (8). Bande di strada composte da ragazzini evidentemente già condannati ad interim. Non riesco ad immaginare la vergogna che il giornalista proverà nel momento in cui si dovesse scoprire che queste bande non c’entrano nulla con l’episodio in questione.
Ma non sono solo centri sociali ed associazioni a denunciare colpe e miopia dell’amministrazione, anche l’arcivescovo Tettamanzi non la pensa diversamente: non serve un esercito di Militari, serve una nuova giustizia! (9)
E quando hanno ragione i preti, sono tempi cupi……
(1) http://www.parcotrotter.it/
(2) http://papadeltrotter.wordpress.com/
(5) http://it.wikipedia.org/wiki/Gentrificazione
(6) http://www.retescuole.net/contenuto?id=20100216135611
(7) http://www.ambulatoriopopolare.org/index.php/appellivolantini/78-via-padova-facciamo-i-conti-
(9) http://archiviostorico.corriere.it/2010/febbraio/17/Tettamanzi_via_Padova_indifferente_chi_co_9_100217008.shtml
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