San Precario sa cosa vuole

(occhio ai link!) Le idee di riforma del mercato del lavoro sono mostruose e sanciscono di facto la precarietà permanete. La riforma degli ammortizzatori sociali sembra fatta da un cinico matematico che, con un gioco a somma zero e cambiando l’ordine e il nome degli addendi, cancella sigle e ne inventa di nuove. Via la cigs e la mobilità, via l’indennità di disoccupazione e dentro il rd, il reddito dei disoccupati, ovvero l’assegno degli sfigati.

Costruiscono opere faraoniche, inutili come le tav, comprano aerei superaccessoriati, ma i soldi per i precari e i disoccupati non ci sono. San Precario sa cosa vuole.

Ci tocca anche, disgraziatamente sollevare una critica verso il sedicente decalogo dei precari. San precario non ha mai voluto rappresentare una cosiddetta società civile precaria e meno che meno una sua opinione pubblica.

San Precario però è un progetto che da otto anni interviene nella precarietà, nei luoghi di lavoro, nei territori, nei dibattiti, nelle assemblee, al di là dei sindacati e dei partiti, e ha sviluppato proprio per questo un forte punto di vista precario (genuino al 100%) che non nasce dall’analisi della condizione precaria (prerequisito fuorviante e troppo accademico), ma nasce dall’azione e dal protagonismo dentro i meccanismi sociali della precarizzazione. La differenza è abissale e si vede. Il decalogo contiene delle parti certamente condivisibili mentre altre sono addirittura, per la loro approssimazione, pericolose. In particolare sul reddito, anzi sulla continuità di reddito. Bisogna essere molto chiari in quanto su questo punto si gioca il destino dei precari. Il reddito non deve essere solo una redistribuzione di soldi, men che meno mediata e condizionata da sindacati e stato (che ci porterebbero alle corporazioni e allo stato di polizia); bensì il reddito deve innanzitutto consentire la scelta del lavoratore precario, di rifiutare un brutto lavoro, diminuendo il ricatto che è l’essenza stessa della precarietà, quindi deve diventare strumento pubblico ed incondizionato, la spina dorsale di un nuovo welfare state, e deve essere in parte monetario e in parte deve garantire alcuni diritti e servizi fondamentali (mobilità, formazione, …). Proprio per questo non è possibile partendo da un’analisi della propria condizione fare proselitismi lobbistici sperando nell’intervento di partiti e sindacati, poiché se non si intaccano direttamente i meccanismi che causano la precarietà (atomizzazione e ricatto) il reddito diventa solo una partita di giro che le imprese in un modo o nell’altro si riprenderanno.

 

Il quadro politico è lampante: il potere finanziario ha assunto in prima persona la direzione di un’Italia in crisi debilitata da vent’anni di precarizzazione che esso stesso ha creato. I pochi diritti dei precari e dei lavoratori stanno subendo l’attacco finale. Le colpe sindacali sono macroscopiche, il fronte scelto per difendere i lavoratori è l’equivalente di una Linea Maginot, aggirabile da ogni lato. L’indennità di disoccupazione copre solo il 25% dei licenziati. La cassa integrazione è fonte di sperequazione e clientelismo e riguarda solo una parte dei lavori. L’articolo 18 tutela (per modo di dire) solo il 60% della forza lavoro e se si sommano le finte partite iva, le parasubordinazioni e tutto ilo resto la percentuale scende. Si capisce da subito che difendere una visione così parziale che esclude di fatto la gran parte dei lavoratori e delle lavoratrici è difficilissimo. E’ la concezione stessa dei diritti e delle tutela ad essere parziale e minoritaria, quindi perdente. In particolare manca un’idea ampia e convincente per unificare generazioni e lavori. Un secondo pericolo nasce da prese di posizione poco calate nella realtà, che parlano a nome dei precari (vedi decalogo del Nostro Tempo è Adesso) frutto di riflessioni parziali che partono dal confronto sulle condizioni e non sull’intervento vero. Inoltre si ripropongono atteggiamenti lobbistici, nell’illusione che la semplice pressione politica possa portare ad un cambiamento. Bisogna dire che la questione reddito è talmente importante che se si perdesse (ovvero se fossero introdotte forme di reddito infide) la precarietà aumenterebbe, in quanto sancirebbe il controllo dello stato sulla forza lavoro.

 

Dopo un lunghissimo confronto fra le realtà in lotta contro la precarietà abbiamo sviluppato una piattaforma in cinque punti: reddito incondizionato, nuovi diritti, cittadinanza ai migranti, difesa del lavoro, obbligo assicurativo dei dirigenti e manager contro i fallimenti.

 

REDDITO

  • Il modo in cui viene elargito è più importante della quantità
  • Il reddito deve alleviare le pene precarie, e questo è certo, ma deve anche ridistribuire reddito come equivalenza di quella parte della produzione sociale che non è più corrisposta e rappresentata dal lavoro. (mai come oggi infatti la produzione e il lavoro non coincidono). Ma soprattutto il reddito ha senso se è in grado di intaccare ciò che sta alla base della precarietà: il ricatto. Infatti se il reddito consente la scelta del lavoro, aumenta parimenti le possibilità del rifiuto di brutte offerte di lavoro, cosa che de facto favorisce il conflitto, (condizione sine qua non); unica base solida affinché un’elargizione monetaria non diventi contemporaneamente una partita di giro per le imprese (ce li danno e se li prendono) e un pretesto di controllo per lo stato. Per questo il reddito deve essere incondizionato e deve sostituire ogni forma di ammortizzazione: deve riguardare tutti e tutte!
  • La previdenza deve essere separata dall’assistenza

 

DIRITTI

All’interno di questa dicitura vi è una vasta gamma di voci, innanzitutto i diritti tradizionali oramai traditi maternità, credito, casa, malattia. E’ quasi banale ricordare che sono i fondamenti di una civiltà degna di questo nome. E’ anche inutile dire che noi non viviamo in una società degna di questo nome.

Ma poi entrano prepotentemente una serie di altri diritti, nuovi, necessari, vitali, direttamente legati alle trasformazioni del modello produttivo, alla modernità si potrebbe dire. L’accesso alle tecnologie, ai saperi, alla mobilità: il lavoro non coincide con la produzione poiché quest’ultima cristallizza materialmente e immaterialmente una quantità di gesti e di relazioni che non avvengono solo in esso.

Niente di meglio che la tav per dimostrarci il conflitto insanabile fra due idee diverse di società. Tav fa rima con precarietà

 

CITTADINANZA

I migranti sono quasi un decimo della popolazione italiana, e rappresentano una percentuale ancora maggiore della popolazione attiva: la loro condizione di cittadini a tempo determinato in regime di ricatto perenne per il permesso di soggiorno, oltre che essere umanamente bestiale e indegna, si ripercuote su tutto l’insieme dei lavoratori creando un dumping salariale pazzesco.

Bisogna abolire la Bossi-Fini e la Turco-Napolitano, il reato di clandestinità, e garantire ai lavoratori migranti la cittadinanza.

 

DIFESA DEL LAVORO

Ovviamente i lavori stabili devono essere tali, salario minimo orario per tutte le prestazioni lavorative non contrattualizzate , diminuzione delle tipologie contrattuali, libertà di associazione e libertà di riunione per tutti. La crisi della rappresentanza si sta trasformando in una debacle che però sta travolgendo tutti. E’ necessario riaffermare che i sindacati confederali in trattativa col governo sono solo parzialmente rappresentativi, che equivale a dire che non lo sono.

 

OBBLIGO ASSICURATIVO MANAGER E DIRIGENTI

Nella crisi le aziende hanno scaricato sui dipendenti i propri fallimenti e i propri problemi, fra cui i ritardi dei pagamenti. E’ uno degli aspetti della privatizzazione degli utili e della socializzazione delle perdite.
I manager, i dirigenti devono assicurarsi in modo che gli eventuali ammanchi per stipendi, tredicesime, premi produzione vengano corrisposti dalle società assicurative permettendo di spostare una parte “del rischio di impresa” dal sociale (dove non dovrebbe stare) e riportarlo dove effettivamente deve stare, all’interno dei circuiti finanziari. (v. anche qui)

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