Salari e consumi: è debacle

Vi segnaliamo una ricerca (sotto) fatta dall’Ires cgil oramai “vecchia” di un anno e nel medesimo tempo vi rimandiamo a questo articolo fresco fresco. Il quadro d’insieme è chiaro. La precarietà trasforma l’Italia. Ai redditi da lavoro, quelli sudati per intenderci, tocca una quota di ricchezza sempre minore. I profitti invece vanno a gonfie vele alla faccia della crisi. Il potere d’acquisto dei salari scende mentre il 10% della popolazione si spartisce il 50% della ricchezza nazionale. Le valutazioni dei dati dello studio dell’ires cgil sono spassose. Il crollo del potere d’acquisto, si legge, è dovuto a “l’inflazione programmata a metà di quella effettiva [..] i ritardi nei rinnovi contrattuali, la mancata restituzione del fiscal drag, la scarsa redistribuzione della produttività e, soprattutto, le distorsioni del sistema fiscale… ” Pazzesco! In altre parole scopriamo che una buona fetta di responsabilità cade sulla cgil stessa cgil che nel ‘ 93 firmò il patto sociale per lo sviluppo e l’occupazione che fra le altre cose – una volta abolita la scala mobile – agganciava i salari all’inflazione programmata (sempre minore di quella reale) e allungava la durata dei contratti nazionali da due a quattro anni. Con Treu del 97 il pacco è servito. Con l’istituzionalizzazione della precarietà il lavoratore si trova in una situazione di debolezza rispetto  alle imprese. Ad essere sacrificate sono le nuove generazioni, ma nel breve periodo grazie ad un’ondata inflazionistica senza precedenti tutti – ma proprio tutti! – coloro che vivono del proprio lavoro si ritrovano ad essere più poveri. Non c’è molto da aggiungere…..

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Gb, un piano da 2,5 miliardi per l’economia finanziato con la tassa sui bonus dei banchieri

LONDRA – Il governo britannico vara un piano di aiuti all’economia da 2,5 miliardi di sterline (2,80 milioni di euro). Il pacchetto di aiuti inserito nella legge finanziaria 2010-1011 è stato presentato alla Camera dei Comuni dal ministro delle Finanze, Alistair Darling. Il pacchetto di aiuti, che arriva in vista delle elezioni del 6 maggio, sarà finanziato per la gran parte dalla tassa temporanea del 50% sui bonus dei banchieri, che ha fruttato ben 2 miliardi di sterline. ll governo laburista, ha aggiunto il ministro Darling, passate le imminenti elezioni politiche, si ripromette anche di avviare il “più drastico piano da decenni a questa parte” sul controllo della spesa pubblica.Il piano, ha spiegato Darling, “serve ad assicurare la ripresa, ridurre l’indebitamento e investire nel futuro dell’industria britannica”, oltre a “definire un cammino verso la prosperità a lungo termine”.

Darling ha aggiunto che il governo di Gordon Brown ha fatto “le scelte giuste” per fronteggiare la crisi, incluso il sostegno alle banche, che però dovranno ridare tutto ai contribuenti. A questo proposito, il ministro ha ricordato che la tassa al 50% sui super bonus dei banchieri ha portato nelle casse dello stato circa 2 miliardi di sterline, “il doppio del previsto”. Il ministro si è nuovamente detto favorevole a nuove regole per il sistema bancario, ma solo se queste verranno coordinata a livello globale.


Nel merito, il programma del governo laburista prevede una serie di interventi a favore delle piccole imprese e dell’innovazione nonché il finanziamento di infrastrutture nazionali. In un contesto di maggiore ottimismo circa la ripresa economica nel Regno Unito, Darling ha rivisto in crescita le stime sul Pil: tra l’1% e l’1,5% quest’anno e tra il 3% e il 3,5% nel 2011. Il ministro delle Finanze ha inoltre tagliato le stime sull’indebitamento che è previsto di 167 miliardi di sterline nel 2009-10, 11 miliardi in meno rispetto alle previsioni iniziali. Entro l’aprile del 2014, ha aggiunto Darling, il deficit sarà tagliato a 89 miliardi di sterline dai 167 miliardi di quest’anno. Inoltre, il fabbisogno scenderà a 163 miliardi di sterline il prossimo anno per poi calare a 74 miliardi nel 2014-15. Dunque, ha spiegato Darling, “Il deficit risulterà inferiore di 100 miliardi di sterline entro il 2013-14 rispetto a quanto stimato nella finanziaria dell’anno scorso”.

La finanziaria inevitabilmente sarà al centro della campagna elettorale. Il governo punta sul fatto che contiene  sgravi e facilitazioni a favore della classe media e dei meno abbienti, e qualche aggravio sui ricchi. Il provvedimento-simbolo è la cancellazione dell’imposta di bollo per chi compra la prima casa, a patto che questa costi meno di 250.000 sterline; per compensare questi mancati introiti vengono aumentate le tasse per chi compra una casa da oltre un milione di sterline e per i redditi sopra le 130.000 sterline all’anno. Del complesso della manovra fanno parte, inoltre, gli aiuti ai pensionati a basso reddito per pagare il riscaldamento e l’ulteriore stretta contro l’evasione fiscale attraverso nuovi accordi con alcuni paradisi fiscali come la Repubblica dominicana, Grenada e il Belize.

Ci sono poi aumenti delle tasse sul carburante, su alcolici e tabacco, ma anche sgravi fiscali per le imprese; stanziamenti extra per università e ricerca, sostegni all’occupazione giovanile e massicci investimenti per l’alta velocità, la banda larga per tutti, le biotecnologie e le centrali per l’energia rinnovabile.

(24 marzo 2010) da la repubblica

Chi si rivede: i super-ricchi!

Berlusconi, come ci informa Forbes, ha aggiunto nell’anno 2 miliardi di dollari alle sue ricchezze; non c’è quindi da meravigliarsi che egli vada ripetendo continuamente che non c’è in giro nessuna crisi economica.

Dallo scoppio della crisi in poi tutti sembrano preoccuparsi della sorte dei poveri, guardando con trepidazione sia alle persone che ai paesi meno fortunati; si constata l’aggravamento della loro situazione dopo lo scoppio della bolla dei mutui subprime e si invocano da più parti rimedi di vario genere, a livello nazionale ed internazionale, per far fronte alle difficoltà. Quasi nessuno invece sembra badare alla sorte dei ricchi e questo può suscitare qualche legittima meraviglia.

Cosa sta in effetti succedendo a tale, peraltro ridotto, strato della popolazione mondiale? Ci fornisce qualche elemento per rispondere alla domanda e placare forse qualche ansia diffusa in giro l’annuale classifica della rivista statunitense Forbes, che elenca diligentemente, attraverso indagini approfondite, le persone che posseggono in tutto il mondo un patrimonio di almeno un miliardo di dollari.

L’elenco, con riferimento alla situazione presente alla fine del 2009 e che molti tra i nostri lettori attendevano forse di conoscere con impazienza, è stato da poco pubblicato dalla rivista americana e possiamo subito affermare che finalmente il mondo può tirare un sospiro di sollievo, anche se non tutte le nubi si sono ancora diradate all’orizzonte.

In effetti, mentre nell’elenco al 31 dicembre del 2008 il numero delle persone superricche appariva falcidiato dalla crisi, essendo sceso a sole 793 unità, contro le ben 1125 dell’anno precedente – cosa che sembrava poter precludere all’apocalisse -, nella lista 2009 si assiste invece ad una netta ripresa e il numero delle persone molto agiate cresce di nuovo sino a 1011 unità, inoltre con un incremento della ricchezza media per persona da 3.0 a 3,5 miliardi di dollari. Ci sono così buone speranze che la lista per il 2010 riesca a battere persino il record del 2007 e che tutto rientri così di nuovo pienamente nell’ordine. A meno, certo, che la crisi non riparta per qualche via e i vari governi non abbiano l’ardire di aumentare le tasse ai ricchi per cercare di tappare qualche buco di bilancio, cosa certamente per fortuna molto poco probabile quasi dovunque e certamente impossibile, al momento almeno, nel nostro fortunato paese.

Come sottolinea W. Hutton sull’Observer (Hutton, 2010), non vi è in giro alcuna valutazione negativa riguardo ai miliardari. Si da per scontato che altissimi livelli di ricchezza siano inevitabilmente associati con il capitalismo, il progresso economico, la crescita dell’occupazione; un maggior numero di superricchi appare quindi a quasi tutti un importante segno di vitalità economica.

Ma bisogna in realtà considerare che la ricchezza può venire da attività produttive od invece improduttive. Il numero maggiore delle persone presenti nella lista deriva gran parte dei suoi beni dal secondo tipo di vicende, da pratiche monopolistiche, da furti su larga scala alle casse pubbliche – come nel caso degli oligarchi russi, presenti nella lista in numero di 62 e di quelli turchi, con 28 nomi -, da speculazioni immobiliari, da meccanismi di ingegneria finanziaria che ci hanno portato al disastro attuale, da evasioni fiscali su larga scala, o semplicemente da eredità, cosa quest’ultima che non comporta certo alcun merito.

In questa larga categoria di persone rientra tranquillamente il primo ricco presente nella lista di Forbes, il messicano C. Slim. Non si può certo dire che egli abbia creato ricchezza per il suo paese; l’ha semplicemente sottratta, peraltro legalmente, ai suoi cittadini, con delle tariffe telefoniche tra le più alte del mondo, che il signor Slim si può permettere di praticare sia in quanto monopolista del settore nel suo paese, sia per le relazioni amichevoli che egli intrattiene con le autorità pubbliche preposte al controllo del business.

Anche nel caso, minoritario, di quelli che sembrano avere fatto tanti soldi con attività produttive e innovazioni importanti per il mercato ed anche per la società, la realtà appare in proposito spesso piuttosto articolata. Si prenda ad esempio il caso di Bill Gates, il geniale imprenditore di Microsoft, la seconda persona elencata nella classifica; egli è anche additato a ragione come un imprenditore che destina gran parte delle sue ricchezze a cause umanitarie. Ma bisogna considerare che la Microsoft si trova da lungo tempo sotto il torchio delle autorità di Bruxelles per le sue abiette pratiche monopolistiche.

Ma anche nel caso del terzo nome nella lista, quello di Warren Buffett, cui non sembra potersi attribuire alcuna cattiva pratica di gestione e che può anche destare qualche simpatia, ci si può comunque interrogare su quanto sia socialmente accettabile che una persona singola, per quanto brava a gestire gli affari, riesca ad accumulare tante ricchezze senza che almeno il fisco intervenga impietosamente.

Ma si tratta forse semplicemente di invidia da parte nostra, come rileverebbe subito a chi facesse ragionamenti di questo tipo il nostro presidente del consiglio.

Bisogna considerare per fortuna che la lista di Forbes sottovaluta probabilmente il fenomeno della ricchezza mondiale. Mentre è in effetti relativamente semplice controllare il valore di azioni, obbligazioni, beni immobili posseduti ufficialmente dalle varie persone, appare molto difficile invece sapere quali ricchezze ulteriori si nascondano nei paradisi fiscali e quanto valgano veramente i titoli delle società non quotate. Alla fine, siamo ad esempio fiduciosi che la ricchezza reale di Berlusconi sia superiore a quella rilevata ufficialmente e che egli quindi possa scalare idealmente qualche posizione nella classifica, che lo vede attualmente soltanto al 73o posto; quasi una vergogna.

Un altro fatto che ci conforta, esaminando la lista, è che si va finalmente affermando nel mondo un regime di pari opportunità e che le grandi ricchezze non sono ormai un campo riservato ad un ristretto numero di americani e di europei, i quali non riescono più a bloccare l’assalto degli aspiranti ricchi degli altri continenti. La tradizionale divisione internazionale del lavoro almeno su questo fronte non ha retto all’urto e il vecchio ordine sociale è scosso dalle fondamenta.

La lista ci dice così che anche i ricchi dei paesi meno fortunati possono competere ormai ad armi uguali con quelli dei paesi avanzati, dei quali sembrano avere imparato tutte le sottigliezze gestionali e ai quali è ormai permesso di copiare gli stili di vita e la tipologia dei consumi dei loro omologhi dei paesi occidentali.

Così i superfortunati dell’Asia e dell’Australia hanno raggiunto il numero di 234, contro i 130 dell’anno precedente e con una cifra complessiva ormai molto vicina a quella degli europei, ora scesa a 248.

Nel confronto tra India e Cina, i due grandi paesi emergenti, il numero dei cinesi milionari è certo superiore, raggiungendo il numero di 79, la cifra più alta dopo quella degli Stati Uniti, ma mediamente i ricchi indiani, presenti nella lista in numero di 52, hanno una ricchezza media maggiore di quella cinese. Questo deriverà forse dalla ben nota spietatezza fiscale con cui il regime comunista di Pechino perseguita normalmente i poveri miliardari del paese.

Non che gli americani siano messi male; il 40% dei nomi nella lista è ancora di cittadini statunitensi, contro peraltro il 46% dell’anno precedente; essi controllano ancora il 38% della ricchezza totale.

Complesse formule economiche messe a punto da due economisti britannici (Doward, 2010) suggeriscono che una volta che un paese abbia raggiunto un ragionevole standard di vita, non c’è più nessun beneficio incrementale che possa derivare da una crescita ulteriore della ricchezza dei suoi abitanti e che anzi un suo ulteriore aumento tende a danneggiare seriamente il benessere del paese. Un altro studio ( citato sempre in Doward, 2010), in qualche modo complementare al precedente, suggerisce inoltre che gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, che sono fra i paesi con le maggiori differenze di ricchezza tra i ricchi e i poveri, sono tra quelli che hanno anche i maggiori problemi sociali e sanitari.

Per quanto riguarda l’Italia, il numero dei ricchi presenti nell’elenco appare abbastanza ridotto, anche se bisogna ricordare che il nostro è anche un paese di grandi evasori fiscali. Il primo della lista è il padrone della Ferrero, con un rispettabile 28o posto, seguito dal proprietario della Luxottica, Del Vecchio; seguono poi Berlusconi, Armani, Moretti Polegato e i quattro fratelli Benetton.

Berlusconi, come ci informa Forbes, ha aggiunto nell’anno 2 miliardi di dollari alle sue ricchezze; non c’è quindi da meravigliarsi, come suggerisce un lettore dell’Observer, che egli vada ripetendo continuamente che non c’è in giro nessuna crisi economica.

Testi citati nell’articolo

-Doward J., More money makes society miserable, warns report, www.observer.co.uk, 14 marzo 2010

-Hutton W., Don’t celebrate these billionaires, be horrified by their existence, www.observer.co.uk, 14 marzo 2010

http://www.sbilanciamoci.info 17/03/2010

di Vincenzo Comito • 21-Mar-10

Tetto agli stipendi dei managers, il governo non vuole limiti

A ottobre 2009 il Consiglio dei ministri approvò la nuova regolamentazione sulle retribuzioni. Il dietrofront arriva a febbraio 2010. Per il ministro Tremonti era “una norma incostituzionale”
ROMA – Via il tetto agli stipendi dei manager inserito nella Legge Comunitaria al Senato. E’ quanto prevede un emendamento al testo a firma del governo presentato ieri allo scadere del termine per le proposte di modifica in commissione Politiche Ue. La misura amplifica gli effetti di una analoga proposta formulata al testo dalla commissione Finanze.


La vicenda era iniziata a ottobre del 2009 quando il Consiglio dei ministri aveva dato il via libera alla regolamentazione che poneva un tetto agli stipendi dei manager pubblici. Su proposta del ministro per la Pubblica amministrazione e l’innovazione, Renato Brunetta, il governo aveva approvato uno schema di regolamento, concertato con il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, che poneva un limite massimo alle retribuzioni per i rapporti di lavoro subordinato o autonomo (compresi i contratti d’opera di natura continuativa, di collaborazione coordinata e continuativa e di collaborazione a progetto) direttamente o indirettamente a carico della finanza pubblica. Le retribuzioni non avrebbero potuto superare il trattamento economico complessivo della carica di Primo presidente della Corte di Cassazione.

Ma la regolamentazione non ha retto. Il dietrofront del governo arriva il 24 febbraio di quest’anno. Un voltafaccia annunciato. In breve tempo il contrasto tra il sentimento popolare e le regole di mercato si è risolto a favore delle seconde. “La questione del tetto è un tema importante ma la norma che è stata votata dal Senato verrà cambiata dal governo – aveva detto il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti – Abbiamo fatto sapere che questa è una norma incostituzionale”.

Il testo è poi arrivato alla Camera dove è stato modificato dalla commissione Finanze. Come previsto dal regolamento di Montecitorio, l’emendamento si intendeva accolto salvo che la commissione per le Politiche Ue non lo avesse respinto per motivi di compatibilità con la normativa comunitaria o per esigenze di coordinamento generale.


da la Repubblica.it

Berlusconi sempre più ricco. (Noi precari, sempre più poveri)

Il premier si conferma così il più ricco tra i parlamentari della Repubblica

Il reddito del presidente del Consiglio cresce di 9 milioni di euro. Bersani invece perde 13 mila euro

Il premier si conferma così il più ricco tra i parlamentari della Repubblica

Berlusconi sempre più ricco

Il reddito del presidente del Consiglio cresce di 9 milioni di euro. Bersani invece perde 13 mila euro


MILANO – Il reddito di Silvio Berlusconi del 2009 è stato di 23.057.981. L’anno precedente era invece di 14.532.538. Il presidente del Consiglio si conferma così il più ricco tra i parlamentari della Repubblica. Tra i beni immobili a lui intestati risultano anche 5 appartamenti a Milano, 2 box sempre a Milano, e un terreno ad Antigua. Alla voce «variazioni in aumento» compare l’acquisto di un immobile a Lesa (Novara) e la costruzione di un immobile sul terreno di Antigua. Lo rivelano le dichiarazioni dei redditi presentate nel 2009, relativamente alle entrate percepite nel 2008, rese note dal Parlamento.

BERSANI – Se il leader Pdl nell’anno nero della crisi si arricchisce di 9 milioni di euro, il segretario del Pd perde circa 13 mila euro in un anno. La sua dichiarazione Irpef del 2008, segnalava infatti un reddito imponibile di 163mila 551 euro. Tra l’altro, Bersani non risulta in possesso di beni immobili.

FINI – Il presidente della Camera Gianfranco Fini ha invece un reddito imponibile nella dichiarazione dei redditi 2009 di 141.176 euro. L’anno precedente aveva denunciato al fisco 105.633 euro. Da quando è diventato presidente della Camera, insomma, Fini avrebbe guadagnato circa 35 mila euro in più.

LETTA E BERTOLASO – E’ invece Gianni Letta il più ricco tra i componenti non parlamentari del governo. Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio ha dichiarato 1.315.186 euro di redditi imponibili. Guido Bertolaso, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega alla Protezione civile, dal canto suo, ha dichiarato 613.403 euro. L’anno precedente aveva dichiarato poco più di un milione di euro. Anche il ministro della Salute, Ferruccio Fazio, supera i 600mila euro: reddito 2008 dichiarato 634.968 euro.

da Il corriere on line