About Effimera

1234408_471760952922315_809350970_nEffimera nasce da un batticuore. Da un ritmo precario, incerto ma creativo, che ha preso avvio dopo la chiusura di UniNomade 2.0. Rappresenta uno dei nostri possibili approdi, antidoto alla diaspora del general intellect che ha fornito, generosamente, linfa vitale a quel progetto. Un contributo di intelligenze e di esperienze politiche, fra loro diverse e eterogenee, che mantengono comunque alcuni elementi comuni: la passione per la discussione critica del presente e la necessità di cercare risposte alternative, non banali e non allineate al pensiero dominante, all’interno della più grande crisi di valorizzazione che la storia del capitalismo ricordi.

La metodologia di analisi e di elaborazione teorica da cui siamo partiti si radica nel pensiero operaista italiano degli anni Sessanta che, nella sua critica post-operaista degli anni Novanta, trova la sua compiuta ragion d’essere. Abbiamo attraversato i deserti creati dalla precarizzazione esistenziale, siamo noi quei precari felicemente orfani di molti apparati (la fabbrica, l’università, lo stato, il partito), che scrivono e agiscono in prima persona dietro spinta del desiderio di indagare, di inchiestare e di con-ricercare la dinamica dei rapporti sociali ed economici che hanno portato, negli ultimi trent’anni, a una metamorfosi irreversibile del processo di accumulazione capitalistica nel nuovo millennio.

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Formazione fuffa: a Milano pagano i precari


Da lì vengono gestiti i finanziamenti e gli accreditamenti per la 'Formazione'


La crisi economica che sta colpendo Milanocity non è sempre una tragedia. C’è chi, nell’ombra, zitto zitto si frega le mani. Anche ora, mentre aumentano i disoccupati e la precarietà azzanna ormai la maggioranza dei cittadini del milanese.

I fondi degli enti

Sono gli ‘Enti di Formazione’ una realtà poco conosciuta che si divide una fetta da ben 45,8 milioni di euro nella sola Lombardia. Fondi europei, comunali, provinciali, regionali finiscono nei loro progetti/associazioni/società/consorzi che come denunciato dall’ultimo rapporto Isfol: ‘Creano una sovrastruttura sganciata dalle esigenze reali del mercato del lavoro’. Non stiamo parlando di corsi per disabili o per minori in difficoltà ma di formazione per la maggioranza di inoccupati, disoccupati e precari di Milano.

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La cultura professionale è un bene primario

Da Il Sole 24 Ore, del 17 novembre,

scritto dal vicepresidente di confindustria per l’economia

Una recente indagine dimostra che il 67% dei laureati italiani ignora che siamo il secondo Paese manifatturiero in Europa dopo la Germania. È un dato che fa riflettere e ha una spiegazione: negli ultimi vent’anni abbiamo assistito a due fenomeni contraddittori. Da un lato l’impresa, per vincere la competizione internazionale, ha investito sui talenti e l’incidenza dei tecnici sul totale degli occupati è raddoppiata, passando dal 12 al 22%, una quota superiore addirittura a quella tedesca. Dall’altro lato, negli stessi anni, è avvenuto il sorpasso degli iscritti ai licei sugli studenti che scelgono l’istruzione tecnica. E oggi, nonostante la crisi, mancano all’appello 76mila tecnici che le industrie richiedono ma non trovano (erano 181.00 prima della crisi). I dati Excelsior mostrano inoltre l’insoddisfazione di più di metà delle imprese per la qualità dei diplomati tecnici.
La cultura tecnica dell’Italia è un patrimonio inestimabile. Abbiamo il primato in molti settori produttivi che hanno fatto grande il made in Italy. Questo patrimonio non si è accumulato per caso. Gli istituti tecnici, da cui escono i profili determinanti per lo sviluppo del sistema produttivo, sono stati la chiave del boom economico italiano del dopoguerra e continuano a rappresentare un asset strategico per il nostro Paese anche nel nuovo scenario dell’economia globale del XXI secolo.

Se l’Italia vuole uscire dalla crisi e rimanere tra i Paesi socialmente ed economicamente più avanzati, deve mantenere il proprio primato nei settori produttivi che costituiscono il made in Italy. Per raggiungere questo obiettivo è dunque essenziale non solo conservare, ma sviluppare e aggiornare continuamente le competenze e i saperi connessi alla cultura produttiva di questi settori. Se l’Italia disperdesse tali saperi, perderebbe, nel medio termine, anche i suoi primati. A differenza di altri modelli europei che discriminano precocemente tra gli studenti destinati al proseguimento degli studi universitari e quelli avviati al lavoro, l’istruzione tecnica italiana, distinta sia dai licei che dalla istruzione professionale, consente ai giovani che la scelgono sia il proseguimento degli studi che l’inserimento in azienda, dotandoli allo stesso tempo di una base culturale scientifica solida e di un utile pragmatismo tecnologico.

Eppure è del tutto insufficiente l’orientamento alla cultura tecnica. Famiglie e insegnanti non sempre sono messi in grado di cogliere i molti punti di forza di questo tipo di studi. Oggi in 80 città italiane 40mila studenti incontreranno gli imprenditori in occasione della XVI Giornata Nazionale Orientagiovani. Il “Vento della Tecnica” è il tema di questa giornata che ha scelto come sede centrale Vicenza. Una scelta che intende puntare i riflettori sul Veneto industriale e manifatturiero, una Regione leader anche nel rapporto scuola-impresa, nei laboratori, negli stage, nei tirocini e nella sperimentazione della nuova istruzione tecnica. Tra meno di un anno partirà la riforma dell’istruzione tecnica per la quale il mondo industriale si è mobilitato insieme con i migliori presidi. L’ultima iniziativa di grande rilevanza è quella del Club delle 15 Associazioni industriali a maggior presenza manifatturiera (nel loro insieme rappresentano il 31% dell’export italiano) che hanno adottato 15 istituti tecnici d’eccellenza.

Confindustria ha espresso una valutazione positiva sul regolamento dell’istruzione tecnica, per molti motivi: riduce gli indirizzi e i profili evitandone la frammentazione; dedica attenzione alle specifiche esigenze del mondo produttivo; istituisce i Dipartimenti per favorire la professionalità degli insegnanti e coordinare gli insegnamenti affini; dà vita ai Comitati tecnico-scientifici per aprire la scuola al mondo imprenditoriale; promuove la flessibilità formativa; potenzia gli stage e l’alternanza scuola-lavoro; introduce le scienze integrate e l’insegnamento di una disciplina tecnica in lingua inglese. Nelle prossime settimane, dopo il recente parere favorevole delle Regioni e l’atteso parere delle Commissioni Parlamentari, il regolamento potrà ottenere dal Consiglio dei Ministri la definitiva approvazione. In sintonia con le Regioni chiediamo che non vengano ridotte le ore di laboratorio nel primo biennio e che la riforma parta solo dalle prime classi, per assicurare un decollo efficace.

È davvero essenziale affrontare alcuni problemi per “mettere in sicurezza” la riforma ed evitare ulteriori rinvii o partenze disordinate che avrebbero conseguenze molto negative. Innanzitutto la diffusione dell’informazione sulle caratteristiche dei nuovi istituti tecnici, con l’orientamento degli studenti e delle famiglie. Poi l’attivazione di piani di aggiornamento e di formazione dei docenti e la trasformazione delle attuali rigide “classi di concorso”, per renderle coerenti con la riforma. L’avvio di un sistema di monitoraggio e verifica degli esiti di apprendimento. L’investimento nella modernizzazione dei laboratori, che può vedere un’ampia partecipazione delle imprese, andrà collegato ad un progetto di valorizzazione della professionalità dei docenti, soprattutto nelle discipline scientifiche e tecnologiche. E qui arriviamo a quello che considero il punto cruciale: gli istituti tecnici decolleranno con successo solo se ci saranno il consenso e l’impegno dei docenti. Sono loro che potranno preparare giovani che si appassionino alla scienza e alla tecnologia, al “gusto del fare”, a patto che vengano offerte loro occasioni di miglioramento professionale e una ritrovata motivazione.