Il workshop che si è svolto sulle tematiche del collegato lavoro, Punti San Precario e sciopero precario è andato in onda durante gli stati generali in forma ridotta. Una riduzione imputabile solo in parte al ritardo che si è accumulato nello svolgimento della due giorni. La verità infatti è che le tre tematiche in un modo o nell’altro sono state assorbite e in parte condivise dagli altri incontri. Le discussioni sia il sabato che la domenica sono stati vibranti e sono proseguite al di fuori dei workshop nelle stanze, nei corridoi, in cucina e nel bar trasformandosi in una sessione continua.
Il report sarà un po’ meno breve.
Collegato lavoro: come tutte le realtà sindacali e politiche della sinistra anche il Punto San Precario ha giocato sul concetto di “countdown”, indicando il 23 gennaio come l’ultima data disponibile, il giorno del non ritorno (video 1 – animal, video 2 – blues, video 3 – piovono padroni), ma lo ha fatto in modo sarcastico, con l’intenzione di spiegare e denunciare, in un momento di forte attenzione, le origini e le vere responsabilità di cotanto orrore legislativo (cari precari e care precarie, mai più disposti a tutto, la coerenza del sindacato).
Il collegato lavoro è una porcata, ma una porcata che non muta qualitativamente il quadro sociale, culturale ed economico della precarietà nel quale l’agenzia di conflitto San Precario ha imparato a muoversi con una certa dimestichezza. In molti ci hanno contattato, in tantissimi, e altri hanno contattato i sindacati di base o quelli confederali. Un numero consistente di questi contatti è costituito da insegnanti che contestano l’illegittima reiterazione del contratto a tempo determinato. Per quanto nella sola Milano le impugnazioni siano state migliaia e migliaia ci dobbiamo rendere conto che si parla sempre di una goccia nel mare. Il numero dei precari che avrebbe potuto impugnare l’irregolarità dell’utilizzo dei contratti atipici stipulati negli ultimi anni era altissimo: centinaia di migliaia; milioni, forse.
Ma così non è stato, e chi naviga nelle acque tempestose della precarizzazione conosce bene il perché. Le cose funzionano diversamente. La precarietà è isolamento e disinformazione, ma soprattutto è ricatto e consenso. Chi la subisce non cambia il proprio atteggiamento perché in televisione hanno detto che rimangono sessanta giorni per impugnare un contratto irregolare. Chi ha avuto paura fino a ieri, ce l’avrà anche oggi, chi si illude che stando zitti e ligi un domani si verrà ricompensati continuerà a farlo. Insomma questa società rimarrà nel proprio stato di quiete (magari con delle vampate improvvise) finché non entrerà in campo una forza capace di dare un’accelerazione. E questa forza per i precari/e non può essere un countdown (a cui tra l’altro in molti sono abituati per ragioni contrattuali).
Qual è la forza? Lo ripetiamo: la fortuna di San Precario non risiede nella sua simpatia, nella sua capacità comunicativa o in quella di aver un ottimo supporto legale (tutte cose importanti). Il successo del Punto San Precario è dovuto al fatto che alcuni precari e precarie hanno cercato di rispondere insieme ad alcune domande che li/le assillavano: come possiamo ribellarci se siamo sempre sotto ricatto? Come possiamo prendere parola se non siamo rappresentati? Come possiamo protestare se non ci rinnovano i contratti?
I precari sono isolati, hanno paura, sono ricattati, qualche volta credono ai loro sfruttatori, credono al clima familiare dell’ufficio, del laboratorio, dell’officina, al “tu”, alla pacca sulle spalle, alla logica della stessa barca. Ebbene sì, questa è la situazione che ha portato all’espulsione dei sindacati dalle aziende e le generazioni più giovani dalla società. Ma la storia ci insegna che il rapporto fra i potenti e i più deboli è come una fisarmonica, alcune volte si allarga e altre volte si stringe. Alcune volte il capitale riesce a dividere, prevalere e a guadagnare. Altrettante volte gli sfruttati, hanno ripreso in mano il proprio destino, organizzandosi con forme nuove ed efficace, per riappropriarsi di reddito e diritti.
Quindi agli stati generali si è discusso a lungo del conflitto nella precarietà. E la conclusione è netta: chi dice che non è possibile sviluppare un conflitto efficace oggigiorno contro le aziende perché troppo forti o troppo sfuggevoli sa di mentire, e lo fa per due motivi: perché ha un interesse affinché le cose rimangano così; perché non è capace di interpretare un vero mutamento e quindi difende la propria soggettività, politica o personale che sia.
L’esperienza del Punto San Precario a Milano lo dimostra. Se dei precari/e come noi, senza tempo né risorse, con un unico santo in paradiso (autoprodotto) sono riusciti bene o male a riprendere le fila del conflitto negli aeroporti, nelle cooperative, call center, moda, fiera ecc. ecc. figurarsi cosa avrebbero potuto fare situazioni ben più organizzate, se lo avessero voluto. Ma così non è stato. E ci è toccato far da soli. L’importante che ci sia consapevolezza della propria forza e che le diverse esperienze sappiano condividersi. Il mondo è cambiato profondamente, i rapporti fra vita e lavoro, fra lavoro e produzione, fra produzione e profitto, fra locale e globale, fra precarietà e territori, fra rivendicazioni e diritti, sono stati appunto le tematiche portanti degli stati generali, ed erano anche il tema di questo workshop.
In questo senso è avvenuta la riduzione, o meglio sarebbe dire la generalizzazione del workshop. Perché alle domande a cui abbiamo accennato sopra ben presto se ne sono aggiunte altre, complementari, che andavo oltre i meccanismi di autotutela e che si chiedono cose più articolate. Ad esempio come l’azienda crea profitto di un’azienda e come si può danneggiare questo profitto. Siamo arrivati al dunque. Per far conflitto nella precarietà bisogna porsi due questioni complementari: come tutelare l’azione dei lavoratori ricattati e come sabotare il profitto?
Quindi a tutti coloro che hanno intenzione di ragionare sulle nuove forme di conflitto, dei meccanismi con cui interferire col profitto (e quindi fidelizzazione, produzione , circolazione ecce) noi proponiamo di incontrarci e confrontarci, poiché lo sciopero precario ha senso solo se parallelamente avviene un radicamento nel “mondo precario” (costituito dai lavori, dai territori, dai flussi che li attraversano, dal simbolico che valorizza merci devalorizzando noi). L’ultimo spot (video 4 – l’alba) è il più visionario (ma non allucinato 🙂 )e parla del nostro futuro.
Grazie alle campagne di informazione scatenate dalle organizzazioni di difesa dei lavoratori, ormai tutti sanno o dovrebbero sapere che il 23.11.2010 è entrata in vigore la l. 183/2010, il c.d. collegato lavoro.
Si sarebbe dovuto trattare di una vera e propria sanatoria di anni di illegittimo precariato, ma così in realtà non sarà. Ma ad una condizione: che la risposta dei lavoratori sia rapida e decisa.
Tutti i contratti precari illegittimi (che rappresentano il 90% dei casi) continueranno a poter essere impugnati, purchè si mandi una lettera entro 60 giorni dalla loro scadenza.
Bisognerà dunque che il lavoratore non ascolti le sirene (“aspetta aspetta che ti faccio un altro contratto”), che non rimanga inerte in attesa di false promesse. Quando il contratto scade va impugnato. Che sia un contratto a termine diretto, che sia un contratto a progetto, che sia un interinale. Lo stesso termine di impugnazione vale per i licenziamenti verbali (da rapporti in nero), per i trasferimenti del lavoratore e per i trasferimenti di azienda.
Purchè si impugni, nei termini la tutela principale è stata confermata dal collegato-lavoro: si continua ad aver diritto alla conversione. In più, continua ad esserci il risarcimento del danno (anche se conteggiato con criteri diversi da prima, che a volte risulteranno negativi altre volte positivi).
Per i contratti a vecchi (cioè scaduti prima del 23.11.2010) gli unici che non si possono più impugnare dopo il 23.01.2011 sono i contratti a termine stipulati direttamente con il datore di lavoro. La regola non vale invece per tutti gli altri. Quindi i vecchi contratti interinali (firmati cioè con l’agenzia), i contratti a progetti e licenziamenti verbali vari continuano a poter essere impugnati (senza stretti limiti di tempo)
Ricapitolando, noi siamo già allenati per affrontare tutto questo.
L’obiettivo è sempre lo stesso: azione veloce, concreta ed efficace.
Ad una cosa è servita il collegato: a dare una sveglia e a far sapere a tutti che i contratti sono illegittimi.
Non ci resta che svegliarci e impugnarli.
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