Neuromarketing

( Due parole prima dell’entusiasmante articolo – si fa per dire – che segue. La precarietà sociale può essere considerata da diversi punti di vista. Ad esempio può essere pensata come il risultato della vittoria del capitale sul lavoro. Una visione dal linguaggio poco attuale, ma sicuramente pregna di verità. Oppure la precarietà può essere intesa come la vittoria del profitto delle aziende sulla vita delle persone, che è una declinazione un poco diversa dalla precedente O ancora: un’anomalia italiana, una degradazione dell’idea di flessibilità, un fenomeno congiunturale, una neoproletarizzazione della società e via così’ . Chi legge questo sito, chi segue le vicende della mayday, le lotte dei precari, anzi “la passione” dei precari  conosce perfettamente le nostre idee.  Che non ripeteremo ora. Vi è però un aspetto, una sfumatura che dobbiamo sottolineare. La precarità è dilagata  nel momento in cui ci hanno fatto credere che essere consumatori equivalesse ad essere liberi, soddisfatti e realizzati.

Mentre è vero il contrario: tutto il bene che ci circonda, i diritti, l’istruzione, la maternità, lo stesso consumo sono (stati) il frutto della consapevolezza di un semplice fatto: noi siamo i produttori del mondo che ci circonda e come tali  abbiamo il diritto/dovere di controllare, partecipare, essere protagonisti nella/della produzione. Se noi precari, operai e migranti pretendessimo questo, oltre che qualche centianaio di euro al mese- che comunque fanno comodo 🙂 – sarebbe un altro mondo. Guardate questo video se avete un pò di pazienza)

Neuromarketing

L’arte di convincere i consumatori ad acquistare è diventata una scienza. Che si basa su studi psicologici, indagini sul comportamento, tecnologie d’avanguardia:  colori, profumi, trucchi e strategie.
Viaggio nei meandri del neuromarketing, la disciplina che ci muove a consumare.

RTX9338PJS. Strana la sigla, ancora più strano il prodotto: una bomboletta spray che contiene aroma di cheeseburger al bacon. Lo stesso che spruzzato abbondantemente nei condotti dell’aerazione dei fast food fa vendere più hamburger. Mentre i clienti si inebriano di quello che credono odore sincero di barbecue e invece, senza saperlo, si arrendono all’ultima frontiera del marketing: il sensory branding.

Profumo d’acquisto
Di che si tratta? In breve di una serie di strategie a cui sono sottoposti i nostri sensi di consumatori. Nei fast food e non solo.  Nel 2007 lo psicologo Eric Spangenberg ha per esempio scoperto che diffondere profumo di vaniglia in un negozio di abbigliamento femminile faceva raddoppiare le vendite. E gli ingegneri di una nota azienda di caffè solubile hanno fatto gli straordinari per realizzare barattoli in grado di rilasciare la massima quantità di profumo quando si apre il coperchio. Facile? Mica tanto: il caffè liofilizzato infatti di suo odora poco. Ma noi consumatori questo non dovremmo saperlo. Così come dovrebbe sfuggirci il motivo per cui il banco del pane, nei supermercati, 9 volte su 10 si trova vicino all’entrata (l’odore del pane fresco stimola il nostro appetito e ci fa percepire come freschi anche prodotti che non lo sono).

Il colore dei soldi
E l’olfatto non è l’unico senso ad essere preso di mira. Avete fatto caso che il guscio delle uova negli anni è diventato marroncino, da che era bianco? Non è una mutazione genetica delle galline, ma ancora una volta una trovata degli esperti di marketing. Il marroncino pare richiami scenari bucolici, e vende di più. E si accompagna meglio al giallo carico di certi tuorli, anche esso poco casuale: per ottenere uova così, lo sanno bene gli allevatori, basta dare vitamine alle galline. Ma vuoi mettere l’effetto nel piatto?

Il libro dei segreti
Di questi e altri inganni sensoriali si parla nel libro Neuromarketing (Apogeo editore). L’autore, Martin Lindstrom, è uno dei più grandi esperti al mondo di seduzione delle merci. In 228 pagine svela cosa ci spinge ad acquistare un prodotto piuttosto che un altro e quali strategie usano i grandi marchi per accalappiarci. Nulla infatti nel mondo dello shopping globale è frutto del caso, quanto del lavoro di persuasori che ogni giorno ci mettono alla prova con trovate subdole e geniali.

La religione dell’iPod
Di esempi Lindstrom ne fa tanti. C’è chi come la Apple punta sull’effetto religione, allestendo negozi come fossero cattedrali tecnologiche ed eventi scanditi secondo una precisa liturgia (ve lo ricordate Steve Jobs con l‘iPad in mano, come fossero le tavole della legge di Mosè?). E chi, come lo stilista Calvin Klein, si fa pubblicità con dei manifesti erotico-scioccanti che mirano dritto al nostro senso del pudore. Anche se – sorprendentemente – spiega Lindstrom non è il ricorso al sesso ad attirare la nostra attenzione, di quello forse siamo anche stufi, ma la provocazione in sé. E il fatto che se ne parli.

Come cavie da laboratorio
Qualcuno potrebbe pensare che si tratta di leggende metropolitane, raccolte da un critico della società dei consumi. Non è così.

Lindstrom tutte queste cose le sa perché svolge egli stesso ricerche sui consumatori per conto dei grandi marchi. Veri e propri esperimenti che, come racconta in Neuromarketing, richiedono addirittura l’uso di strumenti medico/scientifici come la tac o la risonanza magnetica per scoprire cosa succede al nostro cervello quando ci troviamo in presenza di un prodotto sugli scaffali del supermercato o quando assistiamo a uno spot in tv.
E allora perché scriverci un libro? La risposta la da lo stesso Lindstrom nell’introduzione: “… quante più aziende conosceranno i nostri bisogni e i nostri desideri inconsci, tanto più utili potranno essere i prodotti che potranno mettere sul mercato”. Insomma anche il marketing ha un’anima.

Focus.it Eugenio Spagnuolo, 8 marzo 2010

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2 comments to Neuromarketing

  • Il libro è splendido perché l’autore sa decisamente scrivere. E descrivere. Se stesso e le proprie ricerche come se stesse per impossessarsi della chiave segreta del mondo. Non è così. A ben leggere nella maggior parte dei casi il numero degli esperimenti replicati e le ridondanza dei dati sono tutto tranne che scientifici. E per chi parla di neuromarketing (in termini di ricerca e non di metodologia di vendita) le neuroscienze sono il mezzo base per poter approfondire la conoscenza. Forse Lindstrom sta (oltre a farsi un’ottima pubblicità e a guadagnarsi la mia stima) cercando di far comprendere come molte delle informazioni raccolte permettano di comprendere quali strade evitare. Quello che Lindstrom non cita è il fatto che la maggior parte delle più grandi agenzie di comunicazione mondiali hanno informazioni ben più attendibili dei dati che lui ha raccolto e le utilizzano per raggiungere il proprio target cliente a volte con una precisione quasi preoccupante. Forse il marketing non ha un’anima. Di certo chi ci lavora sta imparando a tenerla in debita considerazione.

  • czkay

    l’articolo è molto interessante, ma il video non riesco a vederlo. l’hai uploadato/linkato davvero o te lo sei scordato nella rete?
    🙂

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