di Giulio Sapelli (Docente ci Storia Economica Università di Milano)
Corriere della Sera Economia – lunedì 5 ottobre 2009
Il governo sud coreano annuncia misure eccezionali per frenare la forza delle organizzazioni sindacali. Dopo il grande sciopero generale deI 1989, che spezzò per sempre l’immagine di una Corea del Sud patria dei tassi salari, questa volontà è un’assoluta novità nel panorama mondiale. Ma nel contempo è un’eccezione. In Corea a rappresentare i lavoratori e la loro volontà di combattere contro le conseguenze della crisi economica mondiale che solo ora iniziano a preoccuparli veramente, sono i sindacati, grandi organizzazioni che, a imitazione dei loro confratelli giapponesi di prima della seconda guerra mondiale, si sono sviluppati con enorme rapidità.
Altrove il panorama è diverso. I lavoratori sono sì frastagliati quanto mai quanto a tipi di lavoro, dimensione d’impresa, età lavorativa, financo quanto a condizione famigliare (i single , per esempio, sono sempre più numerosi e quindi più disposti al rischio della lotta e dello sciopero, ma anche all’isolamento). Ma altrettanto lo sono, frastagliati, nelle forme di protesta contro la crisi. Ma tuttavia protestano perché il lavoro umano è meno elastico rispetto alla crisi: la persona umana non può essere fisicamente distrutta. Può essere certamente mutata nella sua capacità e nella sua competenza.
Ma per cambiare professione, mentalità, luogo di lavoro, occorre tempo, disponibilità estrema al cambiamento, occorrono risorse finanziarie, psicologiche, materiali e immateriali che non sempre sono nell’orizzonte di vita, la profonda e vera vita, dei lavoratori. Per questo essi sono oggi affetti da una sofferenza inaudita, siano o no occupati. Se lo sono temono per il domani, per loro e per le loro famiglie; se sono disoccupati sono distrutti dall’incertezza del futuro e dalla perdita di status. Certo questa tragedia era già nell’aria. Dovevamo prepararci. Viste ora dalla prospettiva della crisi le varie leggi sul lavoro interinale, a tempo, eccetera, che impediscono di farsi una famiglia, financo di realizzare la forza più potente dell’essere, ossia l’amore, quelle leggi, che non distruggevano fisicamente la persona lavoratrice, ma già la facevano e la fanno moralmente a pezzi, erano Ìe prime nuvole che annunciavano la tempesta del dolore sui lavoratori. Accettate e negoziate dai sindacati in tutto il mondo, i lavoratori, con quelle leggi, rifiutano oggi anche molte delle pratiche sindacali e ne inventano, invece, di nuove.
I più creativi sono, in tutto il mondo, i sindacati di base dei precari, i giovani, senza famiglia alle spalle, con una visione aperta della società del rischio che fa loro non rifiutare completamente la precarietà. Ma un conto è viverla in tempi di crescita economica e un conto è viverla quando c’è la crisi. Allora i] bicchiere della flessibilità è mezzo vuoto e non mezzo pieno e alla varietà lieta si sovrappone l’angoscia tetra e pericolosa per la salute mentale, prima che per il livello di vita materiale.
Gli Usa anche in questo caso si dimostrano il paese pi pluralista e migliore del mondo in cui vi è di tutto: si formano nuovi sindacati più combattivi e di base, si organizzano con l’All Cb gli immigrati e i clandestini.
Un fenomeno che pare inaudito in Europa. Il sindacato, negli Usa, come nei paesi scandinavi e in Australia, mentre contratta si preoccupa anche del welfare, non statale, ma autogestito dal basso. Perché questo è il nuovo orizzonte: la difesa del lavoro non potrà più passare solo per la contrattazione (e qui i sindacati continuano a essere indispensabili), ma anche per la creazione di nuove forme comunitarie di welfare che assumeranno anche forme di nuove unità economiche non capitalistiche. Un esempio? Le fabbriche autogestite argentine che indicano la giusta via per resistere alla crisi : fai da sé uniti nella lotta e nella costruzione di nuove soggettività attive sui mercati. La difesa dell’occupazione non potrà più passare solamente per la contrattazione. E i governi dovranno tenerne conto *** sono, invece, via per resistere alla crisi. I governi debbono sostenere senza soffocare queste esperienze, invece di attendere sino al giugno del 2010 come farà il G20, per discutere le proposte dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro di Ginevra! Se continueremo nell’indifferenza scoppierà un conflitto diffuso, inedito, che sommergerà molte delle nostre certezze e soprattutto molte delle nostre ignavie.
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