Dalla Mayday 2011, cavalcando la tigre della precarietà

È stata una grande Mayday. Il primo maggio dei precari e delle precarie che da undici anni agita le strade di Milano è tornato a essere una giornata di festa, di gioia, di rabbia, di espressione della creatività dei precari. In decine di migliaia ci siamo trovati a percorrere le strade della città in quello che avevamo chiamato “l’anno della trasformazione”. Meno festa, meno street parade, una manifestazione che ha chiesto a gran voce ciò che ci spetta: reddito, welfare per tutti,cittadinanza, accesso ai beni comuni – acqua, saperi, trasporti.

Dai cinque spezzoni tematici della Mayday di quest’anno si è levata la voce della generazione precaria, dei lavoratori garantiti che stanno perdendo i loro diritti, dei migranti, di chi lotta in difesa del proprio territorio minacciato dalla speculazione, degli studenti e dei ricercatori che hanno animato l’Onda. Come ogni anno hanno sfilato call center, operaie, ricercatori, operatrici sociali, studenti, stagisti, finte partite Iva, dipendenti di cooperative, e chi più ne ha più ne metta. E hanno partecipato diverse realtà territoriali, quelle stesse che hanno dato vita al percorso degli Stati Generali della Precarietà (da Bologna, a Roma, a Bari).

Il popolo della Mayday rappresenta il primo maggio per eccellenza: è lì che si trovano il lavoro vivo, le idee, in cui non si mettono in scena la sconfitta e la rassegnazione del lavoro ma al contrario la creatività e l’urgenza di chi sa che sulle sfighe della propria condizione può poggiare la leva del cambiamento. La precarietà è una tigre da cavalcare.

Ma c’è una differenza. Lo avevamo detto nei mesi scorsi: la Mayday, nata nel 2001 per l’intuizione di chi aveva capito che la precarietà sarebbe diventata dominante nei rapporti di lavoro, ha vinto. Ha vinto perché il suo scopo era quello di portare all’attenzione di tutti la condizione della precarietà, abbandonata dalla sinistra e dai sindacati, e i modi per uscirne: reddito, welfare, servizi e beni comuni. Oggi persino il papa parla del flagello della precarietà e molti cominciano timidamente a parlare di reddito di cittadinanza. Per questo la Mayday quest’anno non è stata solo il luogo in cui precari e precarie si incontrano, si esprimono, si riconoscono, agiscono insieme. Nel 2011 la Mayday è stata il megafono dello sciopero precario, il primo sciopero contro la precarietà che si farà nell’autunno prossimo e che abbiamo lanciato prima della Mayday e poi rilanciato il primo maggio. Alla Mayday sono stati raccolti centinaia di questionari della “consulta precaria” cioè una consultazione popolare sui modi per riprendersi un diritto (costituzionale) negato: quello allo sciopero. Nei prossimi mesi metteremo in pratica uno sciopero basato sui saperi, gli sgami e le intelligenze di chi nella precarietà vive.

E non era solo sciopero precario, perché la Mayday si esprime con le mille lingue di chi vive sulla sua pelle una condizione di precarietà che non è solo del lavoro ma anche delle nostre vite. Dai carri no oil a pedali ed energia solare è stato lanciato il climate camp contro l’Expo 2015. Si è parlato di reddito come argine contro il ricatto messo in campo dalle mafie. Di sfruttamento del territorio e speculazione. Di saperi e università. Della condizione dei migranti, il cui permesso di soggiorno è legato al ricatto del contratto di lavoro. Dell’autorganizzazione dei lavoratori che dal basso lottano contro la precarizzazione, nelle fabbriche come nei call center. Lo stendardo di San Precario ha sventolato tra musica e gioia, mentre migliaia di precari e precarie sfilavano in una Milano in cui i negozi, nonostante le ordinanze della giunta Moratti, erano in gran parte chiusi.

Nei prossimi mesi chiederemo al popolo della Mayday di aiutarci a costruire tutti insieme lo sciopero precario. Dopo aver visto questo popolo esprimersi e scendere in piazza il primo maggio, siamo certe e certi che lo sciopero precario diventerà realtà. Dalla Mayday 2011 – Milano

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