Cartoline dalla Cina #8

I Compagni Queer in sbattimento continuo

«Abbiamo iniziato nel 2007, eravamo in tre persone. Abbiamo cominciato realizzando dei talk show on line, ora produciamo per lo più documentari. Interviste, chiacchiere con esperti, ma anche riprese esterne». Xiaogang Wei è un cinese han originario del Xinjiang, nonché promotore e cuore pulsante della Queer Comrades Production, vero e proprio motore della comunità omosessuale cinese. La prima volta che ho incontrato Xiaogang è stato in un piccolo locale, fuori dal quarto anello pechinese, un luogo decisamente nascosto: tema della serata la proiezione di alcuni film a tematiche omosessuali. Luogo ameno, distante dal centro e da occhi indiscreti, forse dovuto ai controlli governativi? «Non possiamo dire di essere controllati, spiega Xiaogang, ma in qualche modo in Cina spesso si attua una sorta di autocensura, anche se non c’è una censura diretta. Noi in ogni modo siamo focalizzati su cose positive, cerchiamo di porre l’omosessualità in un’ottica positiva, in modo da non avere problemi. Proviamo anche a sdoganare alcuni argomenti proibiti come ad esempio i reportage sul mondo sadomaso. Ogni tanto i nostri video vengono cancellati dai siti cinesi dove si possono caricare file multimediali. Usiamo per lo più piattaforme cinesi e a parte in alcuni casi in cui conosciamo alcune persone nell’azienda, spesso i nostri video vengono cancellati». Le principali discriminazioni riguardano l’ambiente lavorativo e famigliare: da questi ambiti arrivano le pressioni principali per gli omosessuali cinesi. «Ci sono ancora molte discriminazioni. Se sul lavoro dici di essere gay, spesso vieni licenziato a meno che tu non sia impiegato in un’azienda straniera o in un’azienda di comunicazione, dove la gente è più open minded. Quindi spesso i gay non fanno coming out, preferiscono stare zitti. Infatti molti si sposano anche, perché c’è una pressione sociale e della famiglia molto forte. Se non ti sposi e non hai figli, non puoi ad esempio avere una carriera, non ti promuovono». Mentre ci salutiamo, chiacchierando delle loro prossime iniziative, il Queer Comrades Tour per la Cina, chiediamo a Xiaogang se sarà possibile a breve avere qualche omosessuale noto, magari un papavero del partito comunista. Gli strappiamo una risata: «ci sono dei rumors su una persona particolarmente in vista. Ma credo che i tempi non siano ancora prematuri». E una risata, mentre su Pechino tramonta il sole, inghiottendo e cullando vite, sogni e le battaglie dei tanti compagni queer cinesi.



I Compagni Queer in sbattimento continuo (immagine: queer.jpg)

«Abbiamo iniziato nel 2007, eravamo in tre persone. Abbiamo cominciato realizzando dei talk show on line, ora produciamo per lo più documentari. Interviste, chiacchiere con esperti, ma anche riprese esterne». Xiaogang Wei è un cinese han originario del Xinjiang, nonché promotore e cuore pulsante della Queer Comrades Production, vero e proprio motore della comunità omosessuale cinese. La prima volta che ho incontrato Xiaogang è stato in un piccolo locale, fuori dal quarto anello pechinese, un luogo decisamente nascosto: tema della serata la proiezione di alcuni film a tematiche omosessuali. Luogo ameno, distante dal centro e da occhi indiscreti, forse dovuto ai controlli governativi? «Non possiamo dire di essere controllati, spiega Xiaogang, ma in qualche modo in Cina spesso si attua una sorta di autocensura, anche se non c’è una censura diretta. Noi in ogni modo siamo focalizzati su cose positive, cerchiamo di porre l’omosessualità in un’ottica positiva, in modo da non avere problemi. Proviamo anche a sdoganare alcuni argomenti proibiti come ad esempio i reportage sul mondo sadomaso. Ogni tanto i nostri video vengono cancellati dai siti cinesi dove si possono caricare file multimediali. Usiamo per lo più piattaforme cinesi e a parte in alcuni casi in cui conosciamo alcune persone nell’azienda, spesso i nostri video vengono cancellati». Le principali discriminazioni riguardano l’ambiente lavorativo e famigliare: da questi ambiti arrivano le pressioni principali per gli omosessuali cinesi. «Ci sono ancora molte discriminazioni. Se sul lavoro dici di essere gay, spesso vieni licenziato a meno che tu non sia impiegato in un’azienda straniera o in un’azienda di comunicazione, dove la gente è più open minded. Quindi spesso i gay non fanno coming out, preferiscono stare zitti. Infatti molti si sposano anche, perché c’è una pressione sociale e della famiglia molto forte. Se non ti sposi e non hai figli, non puoi ad esempio avere una carriera, non ti promuovono». Mentre ci salutiamo, chiacchierando delle loro prossime iniziative, il Queer Comrades Tour per la Cina, chiediamo a Xiaogang se sarà possibile a breve avere qualche omosessuale noto, magari un papavero del partito comunista. Gli strappiamo una risata: «ci sono dei rumors su una persona particolarmente in vista. Ma credo che i tempi non siano ancora prematuri». E una risata, mentre su Pechino tramonta il sole, inghiottendo e cullando vite, sogni e le battaglie dei tanti compagni queer cinesi.

 

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