Memphis, dove la crisi è finita. La città del Tennessee è sede dello “hub” intercontinentale della Federal Express uno dei massimi vettori mondiali di merci. E qui si capisce che il commercio è ripreso
Vista dallo spazio, nelle fotografie satellitari di GoogleMap sembra la più gigantesca delle basi militari della U. S. Air Force. Nei suoi vasti piazzali è parcheggiata la più potente flotta mondiale di jet “wide-body”, i colossi dei cieli. Ma se ingrandisci le foto scopri che quegli aerei anziché cacciabombardieri sono dei cargo. Benvenuti a Memphis, Tennessee. Lontani sono i tempi in cui questa città era un simbolo delle battaglie per i diritti civili di Martin Luther King nel profondo Sud, e la sua unica attrazione era il Rock’n Roll Museum dedicato a Elvis Presley. Oggi Memphis è la metropoli più dinamica d’America, dove le offerte di lavoro abbondano, e nel business trainante gli stipendi crescono a vista d’occhio, da un mese all’altro. Il suo segreto è in quell’aeroporto, il centro della Scatola Globale che ha ripreso a viaggiare freneticamente con la fine della recessione. Anche se il “tribunale” degli economisti – il National Bureau of Economic Research – esita ancora a decretare ufficialmente l’uscita dalla crisi, i segnali di euforia abbondano. L’indice Dow Jones ha ritrovato la soglia simbolica degli 11.000 punti. I colossi dei prodotti di consumo di massa, da Procter & Gamble a Colgate Palmolive, aumentano di colpo gli investimenti pubblicitari a ritmi che raggiungono il 20%. Il magazine Newsweek esce con una copertina trionfale su “The Comeback Country”, ovvero la riscossa dell’America. Il sottotitolo è eloquente: “Come ci siamo ripresi, e perché siamo destinati a essere in testa ancora una volta”.
Da nessuna parte questa fiducia è “fisicamente” visibile quanto all’aeroporto merci di Memphis. E’ lo hub intercontinentale di Federal Express, meglio nota come FedEx. Una sigla che solo gli inesperti traducono ancora in “corriere espresso”. In realtà è un impero mondiale del software logistico e dei trasporti, che governa dall’origine in fabbrica fino alla destinazione finale a casa del consumatore il percorso della Scatola Globale. Sorvolando oceani, traversando continenti, intasando metropoli con i furgoni della consegna porta a porta. E’ un barometro preciso della salute dell’economia mondiale. Un indicatore che da qualche mese è impazzito di attività. Come il carosello vorticoso dei nastri scorrevoli nel terminale di Memphis. Somiglia a quelle rotatorie che tutti i passeggeri conoscono, dove in ogni aeroporto si aspetta la consegna dei bagagli. Solo che gli esseri umani addetti a scaricare da questo nastro scorrevole sembrano nani. Perché nello scalo di Memphis i nastri sono dieci volte più larghi, smisurati: quel che occorre per vomitare le migliaia di scatoloni che ad ogni ora vengono scaricati dal ventre dei jet-cargo, e poi istradati su camion verso tutte le città americane. Che l’economia globale abbia ripreso a girare lo dice il viavai incessante di decolli e atterraggi su queste piste di Memphis: gli Md-80, gli enormi trireattori Md-11, e i primi Boeing 777 ordinati di recente per star dietro alla ripresa. Memphis, Tennessee, è un nome familiare a tutti i piloti del mondo. Mentre le compagnie passeggeri passano da una cura dimagrante a un’ondata di scioperi, FedEx offre gli stipendi più alti d’America a chi accetta i suoi turni massacranti, gli straordinari obbligatori, il ritmo folle dei voli che consegnano la Scatola Globale.
La ripresa dei commerci mondiali è arrivata, più repentina e vigorosa di quanto ci aspettassimo. Subito ha preso i colori variopinti della nuova bandiera americana: il marrone dei furgoni Ups parcheggiati in seconda fila che intasano le vie di Manhattan e Los Angeles, il giallorosso dei camioncini Dhl e Tnt, il biancorosso dell’armata di furgoni FedEx. Hanno sostituito nel paesaggio urbano i camion del latte e della posta di una volta, sono più ubiqui dei vecchi autobus scolastici color arancione. Hanno imposto l’egemonia americana nel mondo intero: con gli stessi colori traversano le vie di Shanghai e Mumbai, Milano e Londra, perché almeno in questo campo l’America regna sovrana e incontrastata. Se la globalizzazione nel trasporto delle merci ha un brevetto, questo appartiene alle multinazionali Usa della logistica, sono loro a gestire minuto per minuto i
percorsi della Scatola Globale.
Dalla catena di montaggio in una fabbrica di microchips nel Guangdong all’assemblaggio di queste memorie in una fabbrica di computer a Taiwan. Poi nei cartoni d’imballaggio dal porto di Taipei a bordo di una nave portacontainer che batte bandiera sudcoreana e paga i dividendi a un armatore di Singapore. Poi ancora al porto californiano di Long Beach, quindi al trasbordo su una ferrovia merci posseduta da Warren Buffett, oppure su un Boeing cargo diretto a Memphis, e da qui sulla flotta dei camion che arrivano negli Apple Store di Manhattan, nei depositi di Amazon a Seattle, nei supermercati di elettronica BestBuy. Questo circuito era al collasso ancora pochi mesi fa. Ora ha ripreso a funzionare a pieno ritmo. E la spia più fedele è proprio il gigante di Memphis, il centro nervoso della rete logistica che unisce le fabbriche cinesi ai consumatori americani, l’Italia del Nordest alla California, il Brasile al Canada. Dal quartier generale del Tennessee la FedEx Corporation annuncia che i suoi profitti nel primo trimestre del 2010 sono più che raddoppati rispetto all’anno scorso.
“Per noi – dice il presidente di FedEx Frederick W. Smith – la ripresa dell’economia mondiale procede a gonfie vele”. E se lo dice lui, sa di cosa sta parlando. “Il volume quotidiano di merci trasportate da FedEx è risalito del 18% negli ultimi tre mesi”. Per lo scalo-hub intercontinentale di Memphis si annunciano tempi ancora più frenetici. La multinazionale ha appena deciso nuovi investimenti per 3 miliardi di dollari, in gran parte destinati ai nuovi acquisti di Boeing 777 per potenziare la flotta cargo. In aumento del 5% anche il volume delle merci trasportate su gomma dal corriere espresso, le consegne porta a porta dei suoi fattorini su camion. La Scatola Globale che torna a viaggiare febbrilmente ha colto impreparati altri protagonisti del circuito mondiale. Gli armatori non si aspettavano un rimbalzo così veloce. Le flotte mercantili, che tra il 2004 e il 2008 avevano conosciuto un’età dell’oro con aumenti dei noli a due cifre percentuali ogni anno, nello choc della recessione si sono rattrappite. L’anno scorso più di 500 navi portacontainer sono state messe a riposo, e ben 200 grandi navi sono state mandate nei cantieri di rottamazione. Quando è finito lo sciopero dei consumi, il trasporto marittimo non ha potuto reagire di scatto.
“E’ stata una fantastica opportunità per noi”, dice Jess Bunn della FedEx nell’annunciare che raddoppiano i voli cargo tra Memphis e i principali aeroporti asiatici. La concorrente Ups ha visto un aumento dei volumi di trasporto del 12%. Le aziende che devono consegnare i loro scatoloni alla grande distribuzione – jeans o telefonini, computer o scarpe – oggi sono disposte a pagare un sovrapprezzo fino al 50% per trasportarle via cielo, vista la carenza di navi. Un caso esemplare è quello di Pat Moffett, capo della logistica internazionale alla Audiovox Corporation di Hauppauge, nello Stato di New York. Questo grossista di prodotti elettronici, che importa soprattutto dalla Cina, si è trovato nei giorni scorsi di fronte a un dilemma: aveva 13 container pieni di lettori-Dvd fermi su un molo del porto di Hong Kong. La ragione? Una nave portacontainer, sovraccarica di ordini, aveva dovuto rinunciare a trasportarli. Ma i supermercati di New York aspettavano quei Dvd-player per rifornire i propri scaffali, presi d’assalto dai consumatori come ai bei tempi andati. Moffett ha dovuto arrendersi, ha pagato il 45% in più perché gli scatoloni coi lettori Dvd viaggiassero su aereo, in modo da consegnarli puntuali ai clienti in America. A questa febbre della ripresa si sono agganciate anche le esportazioni made in Usa. Navi e jet-cargo non viaggiano più semivuoti quando tornano dagli scali americani verso l’Asia. Dopo tanti anni anche il made in Usa ha ripreso a solcare gli oceani nel circuito intercontinentale degli scatoloni.
Davvero quindi è l’America “The Comeback Country”, il leader tornato in sella dopo la rovinosa caduta del 2008 e 2009? In realtà, come dimostrano gli ultimi dati dell’Ocse, la ripresa è partita dalla Cina. Da lì ha contagiato il resto dell’Asia, poi grazie all’aumento dei prezzi delle materie prime ha trainato tutto il club dei Bric: indiani brasiliani e russi. Adesso, è vero, anche l’America torna a ruggire. L’aumento di oltre 160.000 posti di lavoro nell’ultimo mese, il boom del Dow Jones che compie un anno, i 200.000 consumatori che in nel solo weekend del lancio inaugurale si sono avventati sull’iPad della Apple, incuranti dell’alto costo: gli indicatori positivi si accavallano. Non è un caso che rafforzino gli investimenti sulla propria immagine i più grandi acquirenti mondiali di spazi pubblicitari come la Procter & Gamble, produttore di marche globali come lo shampoo Pantene, i pannolini Pampers e il dentifricio Crest. Un solo dubbio affiora nella copertina esuberante di Newsweek: siamo destinati a rifare tutto come prima? A osservare il duetto rinato fra America e Cina, o la spensieratezza di Wall Street, sembra quasi che il biennio della grande recessione sia stato solo un brutto sogno.
da la repubblica, 13 aprile, federico rampini
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