Posto fisso? Estinto a Milano

11.9%. Questa è la percentuale di tempi indeterminati sul totale di assunti nel 2010 in provincia di Milano. Il dato è tra quelli contenuti nel recente rapporto sul mondo del lavoro stilato dall’ex assessorato al lavoro della Provincia di Milano, guidato dall’assessore Del Niero, di area cattolica.
L’88% dei milanesi assunti nel 2010 lavorano nel settore dei servizi, e tra questi solo il 19.5% ha un contratto a tempo indeterminato. La metà sono part-time. Tra loro il 20% risulta cessato a fine anno, caratteristica che lascia più di un dubbio sulla natura dei contratti.
E’ la prima volta, da quando vengono studiati i numeri forniti dagli ex uffici di collocamento e dalla macchinosa piattaforma web del sito della provincia (www.provincia.milano.it) che il lavoro a tempo indeterminato scende sotto la fatidica soglia del 20%.

Notizia scomparsa

Eppure la notizia è non è passata nemmeno nelle brevi di cronaca locale dei giornaletti gratuiti che leggiamo ogni giorno in metrò. Il TG3 l’ha bellamente evitata, quasi che parlare di precarietà portasse sfiga. Una lacuna paurosa che la dice lunga sull’attenzione che i media e chi li controlla dedicano al problema numero uno per la maggioranza dei milanesi: l’instabilità di reddito, la fragilità di vita. Se a questi dati si somma il nero, che è esploso negli ultimi 3 anni, si può tranquillamente dire che la precarietà è divenuta l’unico dato stabile del mercato del lavoro milanese e per riflesso italiano.

Piccole imprese in sofferenza

Le assunzioni riguardano forme societarie più evolute come le società di capitali mentre le società di persone fanno registrare un calo di avviamenti che fotografa il momento di crisi delle piccole imprese. Nonostante negli ultimi mesi del 2010 l’economia provinciale abbia fatto registrare dei segnali di ripresa, con un aumento della presenza di migranti del 6,7%, i contratti flessibili sono aumentati di due punti percentuali dal 2009. Tra partite iva e contratti a progetto fanno l’80% degli avviamenti. In forte calo il tempo determinato di varia natura. I contratti part time sono ¼ del totale e si concentrano nelle imprese della grande distribuzione, nelle famiglie (lavoratori domestici) e cooperative.

Interventi? Bla, bla, bla

Schizzano a un +98% le collaborazioni occasionali che statisticamente uniscono i tempi determinati (spesso di poche settimane) e contratti a progetto. Vola il lavoro intermittente al + 42%.
I relatori del rapporto, nonostante citino lo scivoloso e scomodo termine precarietà solo a pagina 30 sulle 39 del rapporto diffuso ai media (ma i giornalisti l’hanno almeno letto?) hanno l’onestà intellettuale di affermare che ‘La flessibilità è diventata strutturale e necessita di interventi’. Non è molto ma non è nemmeno poco rispetto a interlocutori istituzionali e sindacali che fino a ieri preferivano usare gli antisettici termini ‘atipico’, ‘instabile’ fino quando non si spingevano a coniare neologismi orribili, tra i quali spicca ‘nuove identità lavorative’, ‘lavoratori discontinui’.

Commessi e stage fuffa: è boom

Il rapporto poi evidenzia come l’aumento esponenziale, di ben 1/3 dei tirocini avviati durante il 2010 rispetto all’anno precedente, nasconda una evidente uso improprio dello stage, inserendolo nel netto peggioramento delle modalità di inserimento lavorativo dei giovani milanesi.
Sotto i 24 anni, cioè per quelli che non vanno all’università o che hanno appena finito la laurea breve, si registra uno stitico 9.8% di tempi indeterminati di fronte al 60% dei contratti a termine ( a vario titolo) e al 30% di parasubordinati. Nella giungla della flessibilità meneghina 1/3 (il 32.2%) sono commessi, i profili intellettuali registrano lo scarno 6%, i senza qualifica stanno al 12.5% mentre gli impiegati (ma in questa categoria rientrano anche i telefonisti dei call center) sono il 23% del totale.

Giustizia sociale? Milano come Babele

‘L’intero mercato del lavoro si presenta come un magma disomogeneo, attraversato da forti spaccature, da dislivelli profondi’ dice testuale il rapporto. E’ chiaro che i precari abbiano bisogno di un nuovo sistema di protezione sociale visto che quello attuale li esclude, hanno necessità di un reddito che gli permetta di galleggiare tra un lavoro e l’altro. Ma le istituzioni su questo determinante punto fanno gli gnorri da 20 anni.
Il rapporto ammette che la flessibilità ha avuto un ruolo importante per la crescita dell’economia milanese ( e soprattutto dei profitti dei più forti a scapito dei diritti di tutti, aggiungiamo noi) ma si è cronicizzata anche nei settori di eccellenza.

Fare squadra o batterla?

E la Provincia di Milano che fa? Non che ci aspettassimo la rivoluzione però la soluzione del ‘fare squadra’ puzza di marcio. Quale squadra? Quella che da 20 anni ci mette in tribuna o quando va bene in panchina? Quella che quando entriamo in campo c’è sempre l’arbitro pronto col cartellino rosso a buttarci fuori prima del ’90. Giocateci voi, con il vostro squadrone imbattuto e protetto dagli arbitri. Facile vincere così, giocando con avversari finti con cui si va a cena dopo la partita.
E invece succede che noi precari siamo stanchi di vedervi giocare. Vorremmo battervi almeno per una volta, ma in un campo vero, col fango, il sudore e tutto il resto. Vuoi vedere che se incontrate un avversario vero che vi ‘sgagna le caviglie’ potete perdere. Vuoi scommettere che i precari si stanno stancando di stare fuori, sono stufi di chiedere reddito a chi si ostina a dargli formazione e carità? Sta arrivando il momento in cui intere generazioni sapranno conquistarsi il futuro, senza più starlo ad aspettare dalle chiacchere degli altri. Tanti piccoli Davide possono battere il gigante che li schiaccia. C’è da crederci e provare.

Fuori BIT, dentro precari: San Precario al buffet dell’Ente del Turismo Francese

Venerdì 18 febbraio 2011, ore 18.35: noi siamo in una decina col gonfalone di San Precario, per il resto la Biblioteca Ambrosiana è deserta. Il Fuori Bit ideato dall’amministratore delegato  di Fiera Spa, Pazzali, è roba per pochi ma buoni si direbbe, a giudicare dai macchinoni: solo dirigenti e tour operator, insomma chi fa girare i danè.“State disturbando” mi avverte la biondissima PR. “Ma non controllate a chi date le sale voi della Ambrosiana?” gli si chiede. “Sai quanti precari han lavorato al Bit gratis?”.

Diritti allo stage o diritti nello stage.

Vi è ancora qualche mio allievo che crede di aver “diritto allo stage” senza domandarsi quali diritti avrà “nello stage”. Definirli illusi o ingenui implicherebbe una fuorviante giustificazione: la loro mancanza di consapevolezza arreca un danno morale ed economico ai loro coetanei preparati e consapevoli. Sono dunque colpevoli, verso loro stessi e gli altri, almeno quanto i politici e i sindacalisti che hanno eluso il tema in tutti questi anni.

La cosa più penosa dei 10 punti elaborati dalla CGIL in merito ai tirocinii dopo anni di fragoroso silenzio è che i punti più importanti sono messi alla fine (punto 9: pari diritti tra stagisti e lavoratori; punto 10: microrimborso spese da 400 euro).

Non mi soffermerò sui dettagli dei 10 punti che possono essere recuperati dal link che ho indicato. Segnalo solo che molti di essi suonano meno superflui che beffardi per i tanti che hanno esperienza in stage plurimi (punto 3: Lo stagista ha diritto a un tutor. Ok, e se, come capita in tanti stage-tarocchi, che il Tutor se ne freghi?).

Le questioni mi sembrano altre che provo a elencare: 1. perché il partito democratico cui si richiama la maggioranza della CGIL non ha promosso mai una legge di tutela e valorizzazione del lavoro giovanile di primo inserimento? 2. perché il decalogo si riduce a chiedere un rimborso spesa di 400 euro con i quali non ci paghi neanche una stanza a Roma o a Milano? 3. perché non vengono proposte sanzioni per le imprese che sfruttano gli stagisti?

Ma vorrei anche che chi frequenta il mio blog, i miei allievi attuali e quelli passati più o meno remoti, collaborino proponendo invece idee davvero concrete e frutto di condizioni materiali vissute sulla loro pelle e sofferte nella loro dignità violata.

Questa campagna “Non Più”, mi sembra un’escamotage, abbastanza vile, che la CGIL ha messo in atto per subappaltare a una agenzia di comunicazione digitale il confronto con il mondo giovanile. Per eludere ancora una volta il dramma di una generazione che si ritroverà a vivere in un paesaggio sociale ed economico devastato, impoverito, defraudato del futuro da chi ci è passato prima di essa.

Una waste land in cui ci toccherà vivere e di cui solo qualche politico ha il coraggio di parlare.