L’attuale situazione politica italiana è alquanto paradossale. Non è una novità, è una costante dell’Italia.
Soltanto un anno fa, da un punto di vista economico, non si riscontravano segnali che potessero far pensare ad una pressione speculativa così forte sull’Italia.
Non aveva tutti i torti il ministro Tremonti ad affermare che i fondamentali economici del paese erano sufficientemente solidi. Il rapporto debito/pubblico italiano era sì molto elevato (120%), ma, tutto sommato, lo stesso di 20 anni fa e nel corso della crisi dei subprime l’Italia aveva fatto registrare l’aumento più contenuto, di gran lunga inferiore a quello Usa (dal 60% del 2007 al 100% di oggi). Al netto della spesa per interessi, il rapporto deficit/Pil risultava inferiore a quello francese e inglese e di poco superiore a quello tedesco. Inoltre il tasso d’inflazione era in linea con quello europeo e la disoccupazione ufficiale (in realtà sottostimata rispetto a quella reale), pure.
Piuttosto, il problema economico dell’Italia è la bassa crescita, conseguenza anche dell’elevata precarizzazione del lavoro, che penalizza i settori a più alto valore aggiunto e la dinamica della produttività, e un’eccessiva concentrazione dei redditi che penalizza la domanda interna.