di Andrea Spotti – thx MilanoX
Uno sgombero rapido e indolore, compiuto nel rispetto dei diritti umani e con un uso moderato e selettivo della forza. É questa la versione che governo, polizia e mass media danno del violento sgombero dello Zocalo, la piazza centrale di Città del Messico occupata per quasi un mese dai professori della CNTE (Cordinamento nazionale dei lavoratori dell’educazione) in protesta contro la riforma educativa recentemente approvata dal parlamento. Tuttavia, i racconti di chi la piazza l’ha occupata e dei tanti solidali accorsi durante la giornata di venerdí per cercare di fermare la repressione descrivono una realtà assai differente, fatta di brutalità e abusi polizieschi, caccia all’uomo e detenzioni arbitrarie. Cose, queste, che paiono purtroppo essere diventate una consuetudine nella gestione della piazza, almeno dal 1° dicembre 2012 a questa parte, giorno in cui s’insediò alla presidenza il fraudolento Peña Nieto fra la protesta popolare.
Nonostante la ricostruzione ufficiale faccia pensare ad un approccio soft, ed il ministro degli interni Osorio Chong parli di un’operazione pulita che ha cercato di evitare lo scontro e privilegiare il dialogo, l’imponente schieramento di forze dell’ordine e il bilancio della giornata provocano un’impressione differente. Con l’obiettivo di permettere al presidente Peña Nieto di dirigere la cerimonia del grido dell’indipendenza hanno ripulito la piazza, per usare le parole del capo della polizia Mondragón, due elicotteri, 3600 elementi della polizia federale in assetto antisommossa, nonché i nuovissimi cannoni ad acqua, entusiasticamente presentati all’opinione pubblica quale esempio di modernizzazione del Paese. Bilancio finale: 34 arresti e una quarantina di feriti.