Nord Italia, Milano. Nella fabbrica cognitiva nuova di zecca, disegnata dall’archistar per gli azionisti che gliel’hanno commissionata (formula “massimo ribasso”), il cellulare non prende. L’ottimizzazione della produzione, innanzitutto. Non perdete tempo a telefonare ma scrivete, editate testi, impaginate. Fateci controllare quanti pezzi fornite ciascuno, e in quanto tempo. Quanti siete, qui? Siete troppi. E lasciate perdere la “vostra” vita, per cortesia. Il desiderio di vita corrompe, fa perdere di vista, ancora una volta, la produzione. Datela a noi la vita, che è una risorsa. Umana. Se non vi garba, siete fuori. Il futuro del lavoro dovrebbe funzionare così: su dieci, otto fuori e quei due unici rimasti, soli, dentro, a pedalare come pazzi, senza sosta e senza orari.
Anche la fabbrica università cade a pezzi: i finanziamenti sono stati tagliati, vanno a pezzi i suoi edifici, la qualità della didattica precipita negli abissi dell’ignoranza, la ricerca non ricerca più niente. Solo “i signori dell’università”, meglio noti come baroni, continuano a esercitare il loro potere magnificamente, ma anche loro hanno problemi: i concorsi sono pochi, i vassalli da piazzare sono tanti e solo il migliore tra tutti riuscirà forse, dopo anni di servitù, a “vincere”. Quelli invece che non sono né baroni né vassalli e non hanno neanche uno straccio di contratto li vedi aggirarsi tra le stanze e i cortili dell’università alla caccia continua di qualche lavoretto per sbarcare il lunario. E fanno veramente di tutto: lezioni, interviste, esperimenti, articoli che firma sempre anche ‘il professore’ e ancora correggono le tesi e tengono gli esami con un pensiero ricorrente: prendere un aereo e lasciare il ‘bel paese’.
Il cambiamento del lavoro cognitivo contemporaneo sta tutto in queste immagini, fotografie della seconda metà del 2009. Lo sviluppo economico non si realizza aumentando il numero degli occupati o dei metri quadri delle attività produttive, ma aumentando il valore aggiunto prodotto da ogni singolo occupato e dal singolo metro quadrato – aumentando cioè l’intelligenza incorporata nelle attività – aumentando l’intensità del capitale intellettuale, relazionale, sociale di cui ogni singolo individuo dispone.
Con l’arrivo dell’autunno, riprendiamo il nostro percorso, come lavoratori della conoscenza, ragionando innanzitutto sullo stato dei processi di ristrutturazione nell’ambito della produzione cognitiva in atto nell’area metrolombarda.
Essi si stanno esplicitando attraverso una massiccia espulsione dei cinquantenni (tutti prepensionati o incentivati all’esodo) cui si accompagna lo sbarramento di ogni possibile ingresso per i trentenni. Chiusa tra le due porte, resta (per il momento) solo la generazione dei quarantenni a cui sempre più manca il senso complessivo di ciò che si va fabbricando (che ci faccio io qui?). Assenza di progettualità, di effettivo coinvolgimento, di prospettive. Il capitalismo italiano non sa neppure essere un autentico, capace, capitalismo cognitivo.
In generale, la visione neoliberale del futuro del lavoro cognitivo si basa sull’idea dell’abolizione totale della figura del salariato e sull’autoimprenditorialità di massa, che obbliga a una produzione continua di sé. La precarietà nel lavoro cognitivo vincola infatti a una continua ricerca del lavoro, occupazione a cui si deve fornire, obbligatoriamente, la massima assiduità. Mai distrarsi, mai mollare, prepararsi interminabilmente, aggiungere sempre nuove competenze. Darsi in pasto al lavoro.
Questo meccanismo ha evidenti ricadute anche sulla forza lavoro in formazione, ovvero sugli studenti, i lavoratori della conoscenza futuri. Non casualmente, insieme a loro abbiamo ragionato l’intera stagione scorsa e vogliamo che la riflessione continui anche per l’anno in corso.
A partire dal cammino affrontato – con gli incontri di Universi precari alla Statale di Milano, con il manifesto dei lavoratori della conoscenza e la carta dei diritti dei lavoratori della conoscenza, con il convegno sul welfare metropolitano (31 maggio 2009) – vogliamo mappare e capire in che misura e forme si sta manifestando la crisi della produzione cognitiva a Milano. Quali segmentazioni, quali nuove povertà va generando, ma anche – in risposta ai vincoli sempre più massicci che tale situazione fa pesare sugli individui – quali forme di resistenza, collettiva, espressiva, immaginativa potranno scattare.
E’ in questo contesto che la rivendicazione di un reddito di esistenza, incondizionato e sufficiente, per reggere l’intermittenza di lavoro, per sostenersi nei periodi di studio, per rafforzarsi nelle scelte, è già stata ieri ma ancor di più diventa oggi il perno del nostro lavoro politico, in questo freddo autunno di crisi. Un reddito che consenta anche ai lavoratori della conoscenza di esprimere meglio la propria creatività e libertà di pensiero, attraverso lo sviluppo di attività indipendenti, di valore sociale e culturale.
La garanzia di una continuità di reddito è uno dei due tasselli che vanno a delineare la nostra idea di welfare metropolitano. L’altro tassello è costituito, infatti, dalla garanzia di accesso a tutti quei servizi pubblici e a quei beni comuni (primo fra tutti, informazione, istruzione e conoscenza) che ci consentono non solo di essere più autonomi e critici nella nostra attività lavorativa ma soprattutto di poter godere della libertà di scelta del lavoro, a partire sia dalle condizioni materiali che da quelle soggettive.
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