Un nuovo Welfare metropolitano per uscire dalla crisi,
fermare Expo e la speculazione per finanziare reddito, diritti, servizi
Negli ultimi venti anni Milano è stata il simbolo della finanziarizzazione dell’economia, della precarizzazione del lavoro e della vita, della privatizzazione di beni e servizi pubblici in nome della sussidiarietà formigoniana.
In questo contesto la speculazione edilizia e il sacrificio incondizionato del territorio alle regole del mercato e al modello della città vetrina hanno rappresentato lo specchio delle trasformazioni sociali ed economiche che hanno attraversato la metro-regione Milano. Trasformazioni pagate con costi altissimi dal territorio e dai soggetti meno tutelati a vantaggio degli stessi speculatori che hanno generato la più grande crisi economica e finanziaria del modello capitalista-neoliberista. La distruzione dell’economia pubblica (dalle privatizzazioni alla crisi finanziaria degli enti locali) e del concetto di città spazio pubblico, la cancellazione di diritti e condizioni stabili di reddito per decine di migliaia di precari e migranti, la forte presenza di forme d’intermediazione di lavoro e reddito mafiose nei cantieri, la negazione del diritto alla salute e a vivere in un ambiente salubre sono tratto comune di quanto è successo nella nostra regione prima e più che altrove.
Oggi il gioco si ripropone.
La ricetta per uscire dalla crisi è la solita vecchia legge del mattone, dell’asfalto, del grande evento perché attira soldi, leggi ad hoc, scorciatoie burocratiche. Il blocco di potere economico-finanziario e politico lombardo ha scelto Expo per questo, come alibi per una nuova grande ristrutturazione socio-economica di Milano e la sua metro-regione. La crisi ha accentuato ancora di più la necessità del “grande evento salvifico”, unico motore in grado di mobilitare le scarse risorse esistenti (ovviamente nei caveau delle banche) e permettere l’attacco finale a quel poco che resta di pubblico e di bene comune. I soggetti sono quelli di sempre: banche e assicurazioni in primis, sempre pronte quando si parla di speculazione immobiliare, Ligresti, Compagnia delle Opere, Legacoop, e la nutrita schiera d’immobiliaristi falliti o quasi (Zunino su tutti). E lo strumento normativo dei PGT (Piani di Governo del Territorio) darà il suggello alla fine della pianificazione urbanistica in nome dell’interesse collettivo per lasciare mano libera alla gestione privata del territorio e alla sussidiarietà totale dei servizi non più pubblici ma di “pubblico interesse” gestiti da privati e cooperative più o meno sociali.
La conseguenza è evidente: si perpetua un modello che ci sta impoverendo e precarizzando nel lavoro e nella vita, facendo pagare sempre a noi i costi della sopravvivenza del modello stesso.
Allora una necessità s’impone a tutti i soggetti metropolitani che in questi anni hanno contrastato queste forme di sfruttamento e le trasformazioni territoriali che andavano pari passo, ossia quella di rivendicare nuovi diritti e un nuovo welfare. Un welfare metropolitano che sia in linea con le forme di vita, lavoro, mobilità di questa città; che metta al centro la questione del reddito, dei servizi pubblici e dei beni comuni. Perché la continuità del reddito è questione basilare per uscire dalla precarietà e dalla marginalità; e dobbiamo rilanciare la città spazio pubblico e l’indisponibilità al profitto di beni e servizi per potere ampliare diritti e migliorare le condizioni di vita.
La lotta per il welfare metropolitano è in grado di unificare e creare un’ampia rete perché non è solo una questione sociale ed economica, ma investe le trasformazioni territoriali, le politiche abitative, i trasporti, i servizi sul territorio, l’accesso a saperi e beni comuni. Il Comitato No Expo ha sempre denunciato l’impatto di Expo e di Milano città-vetrina su diritti, lavoro, precarietà, beni pubblici; per questo rivendicare welfare metropolitano è dentro il nostro percorso. Senza dimenticare che i costi di Expo e di tante opere pubbliche grandi e piccole previste (e in parte finanziate) sono soldi pubblici o frutto di privatizzazioni e svendite. Fermare Expo vuol dire riprenderci quei soldi e finanziare il welfare metropolitano. Per farlo serve creare al più presto una rete diffusa di soggetti, campagne, vertenze in grado di riconnettere i tanti percorsi presenti su questi territori. E’ l’unica strada, crediamo, per non essere spazzati via.
Comitato No Expo – gennaio 2010
www.noexpo.it – info@noexpo.it
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