La Repubblica – 22 agosto 2010
Dinanzi al peggioramento generale delle condizioni di lavoro provocato dalla crisi, veniva da chiedersi come mai il conflitto di classe non mostrasse segni di ripresa.
La spiegazione che si soleva dare era che mancava un soggetto capace  di trasformare il malcontento dei lavoratori in appropriate iniziative,  diffuse e unitarie, sul fronte politico e sindacale. Da ieri sappiamo  che quel soggetto esiste e si dà da fare. Non è una nuova formazione  politica: è la Fiat. L´invito a starsene a casa, seppur pagati,  trasmesso ai tre lavoratori di Melfi nonostante un giudice ne abbia  ordinato il reintegro dopo il licenziamento in tronco con l´accusa di  sabotare la produzione, nelle intenzioni dell´azienda voleva essere  evidentemente una prova di forza. In gioco ci sono i futuri sviluppi del  piano “fabbrica Italia” a Pomigliano e a Mirafiori, non meno che a  Melfi. Si tratta invece di una prova di debolezza e di un grave errore.  
E´ una prova di debolezza perché una volta presentato il ricorso  contro l´ordinanza del giudice, sorretto da una poderosa documentazione,  un´azienda che si sentisse forte delle proprie ragioni avrebbe potuto  aspettare tranquillamente l´esame in tribunale, invece di accanirsi  ancora sugli interessati. Il bisogno di dare subito un´altra lezione  all´insieme dei dipendenti, tradisce una disposizione a prendere  decisioni precipitose che fa pensare ad un´azienda che non si sta  affatto muovendo su un terreno solido. Da parte dell´azienda è anche un  errore destinato a diffondere a macchia d´olio le preoccupazioni per il  futuro che il piano Fiat pare chiaramente anticipare. Abbandono del  contratto nazionale, intensificazione massima delle prestazioni,  sindacati nell´angolo, e fuori dalla fabbrica il primo che apre bocca o  muove un dito. Piaccia o non piaccia ai giudici del lavoro. Finora i  lavoratori hanno sopportato. Senza l´aiuto dei sindacati, bisogna dire,  tranne la Fiom. Quando hanno potuto esprimersi liberamente, come nel  referendum di Pomigliano, un terzo di loro ha fatto sapere che quel  futuro non è accettabile. Grazie ad iniziative tipo lo schiaffo ai  reintegrati, quel terzo di dissidenti potrebbe anche diventare la metà o  magari i tre quarti. E ovviamente non soltanto negli stabilimenti Fiat. 
Il ritorno ad un conflitto di classe che si esprima con gli  strumenti della democrazia e però mandi in soffitta l´idea reazionaria  che per avere e mantenere un lavoro bisogna sottostare a qualsiasi  condizione un´azienda si sogna di imporre perché il mondo è cambiato, la  globalizzazione lo esige, la competitività ce lo impone ecc., tutto  sommato sarebbe una novità interessante nel deserto della politica  italiana. Sarebbe paradossale se un efficace contributo al suo ritorno  venisse proprio dall´azienda, la Fiat, che negli ultimi mesi ha fatto di  tutto per presentarlo come un residuo arcaico della rivoluzione  industriale.
Luciano Gallino








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