Storia Bilaterale
La vita degli enti bilaterali è una lunga storia che secondo alcuni studiosi, getta le sue radici nella seconda metà dell’Ottocento, con la nascita delle Società di Mutuo Soccorso.
Nate come associazioni volontarie con lo scopo di ottimizzare le condizioni dei lavoratori ed accrescerne i diritti, tali società si basavano sulla solidarietà dei loro appartenenti ed erano intimamente legate al territorio in cui nascevano. Esse si fondavano sulla comunione delle forze per il raggiungimento del progresso materiale e morale dei ceti dei lavoratori e maturavano nell’esigenza di affrontare quelle situazioni di sfruttamento a cui le istituzioni politiche sembravano incapaci di mettere fine. Si trattò di un esperimento di protagonismo civile che vide tra i suoi primi protagonisti gli ambienti ecclesiastici, il cui impegno morale di fondo non poteva restare cieco di fronte a problematiche del genere, pur conservando un certo carattere legato più al concetto di elemosina. Non ci interessa in questa sede approfondire tali argomentazioni, ma ci limiteremo a segnalare come da un primitivo paternalismo assistenziale si sia passati nel corso dei secoli alla nascita di un vero e proprio stato sociale, impegnato in interventi pubblici tesi a fornire servizi indifferenziati a garanzia dei cittadini. Le società di mutuo soccorso costituirono una primitiva forma di previdenza collettiva, che offriva ai suoi associati in cambio del pagamento di una quota più o meno irrisoria. In realtà, vi sono delle differenze tra le due esperienze, ma un possibile filo conduttore si può rinvenire nel tentativo di sopperire alle carenze dello Stato per fornire un primitivo apparato di difesa ai lavoratori.
Bilateralismo contro antagonismo
La bilateralità si presenta come una dinamica di evoluzione delle prassi relative al modo di concepire le relazioni industriali, e si attua nel momento in cui si sceglie di superare le eventuali tensioni antagonistiche e di concentrarsi sul livello della condivisione degli interessi. La prerogativa di un tale approccio è il dialogo tra le parti sociali, pur sempre nel quadro di una serie di regole condivise e definite. Condizione necessaria affinché ciò si realizzi è il rispetto del principio della pariteticità, caratteristica propria di quasi tutte le forme bilaterali, in quanto devono essere rispettati l’apporto e la partecipazione di tutti i soggetti coinvolti.
Gli organismi bilaterali, costituiti da soggetti che sono controparti nel sistema di relazioni industriali, si presentano con una varietà che è direttamente proporzionale alla eterogeneità e complessità dei compiti che devono assolvere.
Cosa fanno oggi gli enti bilaterali?
Al giorno d’oggi, gli enti bilaterali svolgono sul territorio una serie di funzioni: dall’integrazione del reddito nei periodi di sospensione del lavoro a favore dei lavoratori licenziati alla formazione ed aggiornamento professionale per i lavoratori e gli imprenditori; dall’integrazione alle prestazioni economiche spettanti in caso di malattia, infortunio e maternità all’assistenza e sostegno per soddisfare particolari bisogni dei lavoratori e delle loro famiglie, fino ad arrivare all’assistenza per le vertenze in materia di lavoro. Tali enti hanno una derivazione contrattuale, in quanto sono stati istituiti ed inseriti nei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro. Essi rappresentano uno strumento di attuazione ed amministrazione del contratto collettivo in aree e settori produttivi nei quali la parte datoriale è frammentata ed è soggetta ad un alto tasso di variabilità, con conseguente frammentazione e variabilità della rappresentanza dei lavoratori. Difatti, l’esperienza della bilateralità ha riguardato per lo più alcuni settori, vale a dire quello dell’edilizia, del commercio, dell’artigianato e del turismo, in cui le rigidità di un’impostazione tradizionale del sindacato si sarebbero fatte sentire.
Bilaterali per legge
Giurdicamente gli enti bilaterali vengono considerati associazioni non riconosciute e in quanto tali disciplinati dal Codice Civile. In realtà possono essere configurati come enti di fatto, dotati di autonomia ed idonei ad essere titolari di rapporti giuridici propri, distinti dai soggetti che ad essi hanno dato vita e da coloro ai quali sono destinati i servizi e le prestazioni che ne costituiscono gli scopi. Tutte la società democratiche presentano una qualche forma di sistema bilaterale, proprio perché la crescita della partecipazione permette la stabilizzazione della democrazia. In questo modo essi diventano uno strumento di politica industriale e provvedono a vigilare sul rispetto della contrattazione categoriale.
Tra progresso e corporativismo
Il fenomeno del bilateralismo nelle relazioni industriali costituisce una delle realtà più attuali del nostro sistema. A tal proposito, alcuni non possono fare a meno di considerare gli enti bilaterali come un modo grazie al quale i sindacati potrebbero recuperare le proprie funzioni, accettando le sfide del postfordismo, mentre per altri essi non sono altro che una riproposizione sotto nuove forme delle corporazioni di lavoratori e imprese istituite durante il regime fascista. La crisi economica, i cambiamenti in atto, si sono ripercossi sul modo di fare sindacato riproponendo l’urgenza di un modello di dialogo partecipato, un modello non più conflittuale e rivendicativo, ma, per l’appunto, partecipativo. I punti di forza della bilateralità concepita in questo senso si riconoscono nella conoscenza del territorio, nel coordinamento tra le forze, nella concertazione sociale ed istituzionale e nella collaborazione tra le parti sociali e gli enti di controllo, seppur nella reciproca autonomia e secondo quello che deve essere il loro ruolo.
Nuovo welfare: sussidiarietà neocorporativa
Il sistema di welfare andrebbe ripensato tenendo conto di una logica partecipativa e solidaristica che preveda il coinvolgimento di soggetti intermedi che si occupino della governance di prestazioni e servizi alle imprese ed ai lavoratori garantendo forme aggiuntive di sostegno e protezione in nome della sussidiarietà. Su un altro versante, la bilateralità viene, invece, vista come una regressione che potrebbe comportare una eccessiva implicazione dei sindacati con il mondo aziendale, fattore che ne corromperebbe la naturale natura universalistica e conflittuale. Inoltre, gli enti bilaterali non riescono a risolvere il problema di tutte quelle categorie che non si sentono rappresentate dal sindacato perché inquadrate in forme contrattuali atipiche ed in settori non tradizionali.
I sindacati confederali hanno manifestato maniere diverse di concepire l’esperienza della bilateralità. Mentre Cisl e Uil tendono a riconoscervi un nuovo modo di fare sindacato in un mercato che si presenta, per sua natura costitutiva, estremamente frammentato, la Cgil ha manifestato alcune perplessità. Una generalizzazione del modello bilaterale avrebbe come effetto l’eliminazione del conflitto e la svalutazione del peso della contrattazione collettiva.
Relazioni industriali: riforma post Pomigliano
I sindacati da interpreti del conflitto sociale e da soggetti di rappresentanza degli interessi collettivi, verrebbero trasformati in semplici erogatori di servizi, privati di qualsiasi autonomia. Tale esperienza andrebbe vissuta come un’opportunità nel contesto di una concezione moderna e pragmatica di relazioni industriali, ma il modello partecipativo non dovrebbe mai escludere il modello conflittuale/contrattuale e ciò perché gli spazi ed i ruoli di gestione che competono agli enti bilaterali dovrebbero restare nettamente distinti da quelli che sono i compiti di rappresentanza e contrattazione che competono alle parti sindacali. Gli enti bilaterali dovrebbero rimanere l’emanazione di una contrattazione a cui non devono sostituirsi, anche per evitare che questo strumento burocratizzi eccessivamente il sindacato.
La bilateralità permette di avvicinare il mondo delle aziende a quello sindacale, ma ciò non dovrebbe avvenire invadendo campi che sono propri di altre funzioni. Difatti, restano aperte tutta una serie di problematiche: l’intercettazione dei nuovi attori del mercato del lavoro, il possibile svuotamento dei diritti universalistici sanciti dallo Statuto dei Lavoratori, l’ambigua connivenza dei sindacati col mondo delle imprese, per citarne solo alcuni. Inoltre, il campo di interesse e di azione degli enti bilaterali si sta estendendo sempre più dalle politiche passive a quelle attive del lavoro in quanto tali enti stanno conquistando spazi sempre nuovi, anche estranei alla loro storia di partenza, adeguandosi alle pieghe del sistema e configurandosi sempre più come possibili protagonisti di politica industriale.