(secondo marco Fortis de Ilsole240re)
La produzione industriale italiana a settembre è diminuita del 5,3% dopo essere cresciuta del 5,8% ad agosto: due dati di segno opposto ugualmente anomali e un po’ “ballerini”, come capita spesso con i valori mensili de-stagionalizzati.
Ciò che conta è che nel terzo trimestre 2009 la crescita consolidata sia stata del 4% sul trimestre precedente: un dato che appare più in linea anche con le recenti indicazioni del superindice dell’Ocse, molto positive per l’Italia.
Tuttavia la ripresa mondiale, pur estendendosi geograficamente e settorialmente, resta ovunque debole ed è opportuno interrogarci sul perché.
A un anno dall’inizio della crisi, i debiti delle famiglie rimangono ancora molto elevati in quei paesi che maggiormente hanno contribuito a innescare la “bolla” immobiliare e finanziaria e poi a farla deflagrare. Ci concentriamo su quattro di essi: Stati Uniti, Gran Bretagna, Irlanda e Spagna.
Questi paesi sono stati definiti «cicale», contrapponendoli all’Italia, che pur con i suoi problemi strutturali può essere considerata fondamentalmente una «formica», insieme ad altre nazioni dell’Europa continentale come Germania e Francia, ugualmente caratterizzate da un basso indebitamento privato e da una maggiore propensione verso l’economia “reale”.
Secondo gli ultimi dati disponibili della Fed, a giugno 2009 i debiti delle famiglie americane, anche se in lieve flessione, risultavano ancora pari a circa 31.600 euro per abitante.
A luglio 2009, secondo la Bce, lo stock di prestiti erogati dalle banche alle famiglie inglesi ammontava a 23.300 euro, mentre a settembre la stessa cifra era di 19.200 euro pro capite per le famiglie spagnole e di ben 32.800 euro per gli irlandesi, contro uno stock di debiti delle famiglie italiane equivalente a poco più di 8mila euro per abitante.
Dunque, le famiglie americane e irlandesi restano tuttora indebitate grosso modo quattro volte di più di quelle italiane e le famiglie spagnole e inglesi 2,5-3 volte di più.
Queste cifre, che non sono molto diverse in altri paesi “cicala” anglosassoni o del Nord Europa (come Islanda, Olanda, Australia, eccetera), unitamente all’aumento della disoccupazione spiegano perché i consumi privati di mezzo mondo occidentale sono ancora fermi, così come gli
investimenti in edilizia.
Questa situazione frena, di fatto, il commercio internazionale e così anche le economie dei grandi paesi esportatori ( tra cui Germania, Giappone, Italia) rendendo la ripresa globale oltremodo
faticosa. La congiuntura mondiale non può trarre particolare giovamento nemmeno dagli imponenti investimenti pubblici della Cina, che stanno nettamente privilegiando gli acquisti di beni e servizi nazionali in un’ottica essenzialmente protezionistica, con scarse ricadute sulle importazioni dall’estero.
La recente pubblicazione delle previsioni infra-annuali della Commissione europea, nonostante tutti i limiti che in questi momenti d’incertezza presentano gli esercizi previsionali, ci permette di fare il punto sulla crisi mondiale e italiana e sulle possibili dinamiche della ripresa. Nelle ultime settimane, infatti, si sono prospettati per l’Italia tempi quasi biblici per ritornare ai livelli di attività economica pre-crisi.
Questa eventualità negativa è stata presentata quasi come fosse un problema squisitamente italiano, derivante dalle nostre intrinseche “fragilità” e da una politica economica anti-ciclica da alcuni ritenuta troppo debole. La realtà è invece molto più complessa e in alcuni casi assai diversa da quanto comunemente si creda, almeno per ciò che concerne alcune componenti del Pil e altre variabili nel cui caso saranno invece gli altri paesi, e non l’Italia,a impiegare tempi molto lunghi per riprendersi.
Consideriamo le stime e le previsioni della Commissione europea sull’arco 2007-2011 e svolgiamo un confronto comparato tra l’Italia e i quattro già citati paesi “cicala” sulla base di otto fotografie della crisi economica che analizzeremo nel seguente ordine: Pil, investimenti in costruzioni,
consumi privati, investimenti in macchinari e attrezzature, esportazioni di beni e servizi, spesa pubblica, aumento del rapporto debito pubblico/Pil, aumento del tasso di disoccupazione.
1. Prodotto interno lordo. Analogamente a quanto è avvenuto in altri due grandi paesi esportatori come Giappone e Germania, rispetto al 2007 il Pil dell’Italia è caduto sinora di più rispetto a quello dei paesi “cicala” (Irlanda a parte, che è sprofondata in un autentico abisso) e nel 2011 saremo ancora 3-4 punti percentuali sotto i livelli del 2007, grosso modo come la Spagna, mentre Gran Bretagna e Usa faranno un po’ meglio (sempre che le previsioni azzecchino). Va rilevato che il nostro Pil era già calato nel 2008 dell’1% mentre quelli degli altri paesi no. Questa flessione anticipata è stata spesso portata a esempio come un chiaro sintomo di debolezza strutturale del nostro paese. Ma non è così, anzi è vero esattamente il contrario. Infatti, nel 2008 il calo del Pil italiano è stato fortemente influenzato dalla crisi mondiale dell’edilizia che ha agito molto negativamente e prima che su altri paesi sulle nostre esportazioni. Queste ultime hanno letteralmente “preavvertito” l’arrivo del crack immobiliare globale, essendo l’Italia leader tra gli esportatori di beni per la casa: dalle piastrelle ai mobili, dai rubinetti agli elettrodomestici, dai marmi alle macchine per costruzioni. Un nostro punto di forza ha finito così paradossalmente col penalizzarci. Dal 2008 in poi la dinamica del Pil italiano risulta invece abbastanza simile a quella della Gran Bretagna e migliore di quella della Spagna.
2. Investimenti in costruzioni. Qui gli indicatori sono pessimi per i paesi “cicala” e decisamente migliori per la “formica” Italia. È stato proprio il crollo del settore immobiliare nei paesi anglosassoni e in Spagna a scatenare la crisi,amplificata dall’effetto subprime. Il disastro è stato
tale che nel 2011 gli investimenti in costruzioni in Spagna saranno ancora del 30% inferiori a quelli del 2007 e più bassi di oltre il 60% in Irlanda. La previsione della Commissione europea di un importante recupero nel 2010-2011 dell’edilizia americana, per il momento ancora ai minimi storici
per ciò che riguarda l’avvio di nuovi cantieri residenziali,a nostro avviso potrebbe rivelarsi un po’ troppo ottimistica.
3. Consumi privati. Mentre i paesi anglosassoni e la Spagna, dopo la crescita drogata dai debiti privati degli scorsi anni, sono costretti a rivedere drasticamente i loro modelli di sviluppo, la spesa delle famiglie italiane sta resistendo bene in questa crisi epocale. E poiché in tutti i paesi avanzati i consumi privati hanno un peso rilevante nel Pil e inoltre costituiscono un indicatore sensibile del benessere interno, è importante che su questo fronte l’Italia stia reagendo positivamente. La Commissione prevede che entro il 2011 (dunque non in tempi biblici) i consumi privati
italiani avranno quasi completamente recuperato i livelli del 2007, dopo una caduta dell’1,5% nel 2009 e una ripresa sia nel 2010 che nel 2011. Viceversa, nel 2009 i consumi sono diminuiti del doppio rispetto all’Italia in Gran Bretagna, più del triplo in Spagna e di oltre cinque volte in
Irlanda. Nel 2010, inoltre, i consumi continueranno a flettere negli Stati Uniti (sarà il terzo anno consecutivo, nonostante le imponenti erogazioni di assegni statali per sostenere la spesa dei cittadini). E lo stesso avverrà negli altri paesi “cicala”, sicché nel 2011 i consumi degli inglesi saranno ancora inferiori di oltre l’1% rispetto ai livelli del 2007, quelli degli spagnoli di oltre il 5% e quelli degli irlandesi del 9 per cento.
4. Investimenti in macchinari. L’Italia dovrebbe reagire meglio dei paesi “cicala” anche al tracollo degli investimenti in macchinari e attrezzature, risultando seconda per capacità di recupero soltanto agli Stati Uniti (ammesso che le previsioni della Commissione Ue non siano anche in questo caso troppo ottimistiche per l’America). Nel 2011 il nostro paese avrà parzialmente riavvicinato i livelli d’investimento del 2007 in una misura di oltre 10 punti superiore alla Spagna, di quasi 20 punti in più rispetto alla Gran Bretagna e di oltre 20 punti in più rispetto all’Irlanda.
5. Esportazioni. La nostra specializzazione nell’export di beni durevoli per la casa e di beni di investimento ci penalizza rispetto ai paesi “cicala”, le cui esportazioni, oltre a pesare di meno nei loro Pil, sono diminuite in misura inferiore rispetto alle nostre. Il caso dell’Italia è simile a quello
del Giappone e della Germania, altri importanti paesi esportatori particolarmente colpiti dalla paralisi dei consumi e degli investimenti altrui. Nel 2009 l’export italiano calerà in volume del 20% (in Giappone addirittura del 27%). Ciò evidenzia come in Italia, diversamente da quanto è
accaduto nei paesi “cicala”, la crisi globale si sia scaricata più sulle imprese che sulle famiglie. I tempi della ripresa saranno perciò cruciali: se non saranno troppo lunghi, potremo evitare che la crisi delle nostre imprese esportatrici si trasformi anche da noi in una crisi delle famiglie,
attraverso un eventuale aumento eccessivo della disoccupazione.
6. Spesa pubblica. Un’altra delle ragioni per cui il Pil dei paesi “cicala” sta diminuendo in misura inferiore di quello italiano, almeno fino a questo momento, è che tali paesi stanno facendo molta spesa pubblica anti-ciclica e probabilmente continueranno a farla in misura rilevante anche in futuro, rischiando di “scassare” le finanze statali. Nel 2011 la spesa pubblica della Spagna in volume sarà così del 14% superiore a quella del 2007 e quella degli Stati Uniti del 13%, mentre quella della Gran Bretagna, dopo essere cresciuta del 7% sino al 2010, dovrebbe diminuire leggermente nel 2011 (ma sarà davvero così?) a un livello del 5% superiore a quello del 2007. Per contro nel 2011 la spesa pubblica italiana risulterà solo del 2,5% maggiore di quella del 2007.
7. Debito pubblico. L’incremento della spesa pubblica e i salvataggi dei sistemi bancari graveranno sempre di più sui conti pubblici dei paesi “cicala”, mentre l’Italia, avendo il terzo debito pubblico del mondo, dovrà mantenere una politica di rigore. Il nostro rapporto debito/Pil aumenterà
più per il calo del Pil che per l’aumento della spesa. Sicché nel 2011 in Italia tale rapporto (117,8), pur preoccupante, sarà superiore di 14 punti a quello del 2007 (103,5), mentre notevolmente maggiore sarà il peggioramento dell’indebitamento pubblico in Spagna (+38 punti rispetto al 2007) e Gran Bretagna (+44 punti), per non parlare dell’Irlanda (+71 punti in quattro anni!). Per gli Stati Uniti disponiamo solo della previsione dell’Fmi per il 2010 che tuttavia già prevede per il prossimo anno un peggioramento del rapporto debito/Pil di 32 punti rispetto al 2007.
8. Disoccupazione. Grazie al meccanismo degli ammortizzatori sociali (che ha sin qui permesso a molte nostre imprese di sopravvivere in “apnea”) anche il mercato del lavoro ha tenuto molto meglio in Italia che nei paesi “cicala”.
E nel 2011 l’incremento cumulato del nostro tasso di disoccupazione rispetto al 2007 sarà sensibilmente inferiore a quello dei paesi anglosassoni e della Spagna.
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