Cartoline dalla Grecia

Intervista ad una attivista dei collettivi universitari E.A.A.K. (Grecia)

1. La situazione in Grecia è arrivata a un punto estremo: come si è arrivati a questo? È possibile individuare le origini della crisi? E il suo rapporto con il debito pubblico?
Per rispondere bene a questa domanda ci vorrebbe un dibattito di ore ma proverò a fare una sintesi. L’attuale crisi del capitalismo è una crisi strutturale e non una crisi del debito dei Paesi. L’enorme accumulazione di profitto degli ultimi anni è all’origine di questo crollo. La gente accendeva mutui per le vacanze, per le scarpe, per la casa, per la macchina,… per tutto, insomma; i mutui erano facilmente accessibili, la circolazione dei soldi “virtuali” era enorme, le borse in crescita. Era la Grecia dei giochi olimpici (che vedeva la costruzione di opere imponenti e inutili), la Grecia dell’Unione Europea.
La crisi comunque non significa la fine del sistema. Per rinascere, per andare avanti, rigenerarsi ancora una volta, il capitalismo, oltre a “bruciare” capitale, deve trovare altre via di uscita: i tagli alla spesa pubblica, l’annullamento di diritti conquistati in anni di lotte, le guerre. È emblematico il fatto che l’unico settore in cui la Grecia non ha dovuto/voluto fare dei tagli sia stato quello militare.

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La farsa dell’emergenza economica: parte II

1. A leggere i commenti sui giornali, a partire da quello di Alesina e Giavazzi sul Corriere della Sera del 16 luglio, il dibattito politico ed economico verte esclusivamente sul fatto se la manovra finanziaria varata in questi giorni sia credibile per i mercati e, quindi, sufficiente. Solo in seconda battuta, qualcuno interviene sull’entità e sul merito dei sacrifici richiesti, ma sempre in un’ottica di necessità inevitabile per evitare il peggio. Due sono i protagonisti indiscussi che animano il dibattito: i mercati finanziari e il rischio di default.
I primi vengono considerati come agenti economici neutri, oggettivamente e quasi metafisicamente definiti, giudici crudeli e inflessibili ma imparziali della credibilità, dell’efficienza e della reputazione di uno stato sempre meno sovrano. Le società di rating ne rappresentano le preferenze, anch’esse imparziali e oggettive. I mercati finanziari, in fondo, coincidono con il senso comune, l’opinione pubblica generalizzata, non influenzabile da decisioni individuali.
Il secondo protagonista è il default (fallimento), presentato come il peggiore di tutti i mali, causa di ogni possibile iattura nel futuro. Di converso, la riduzione del deficit pubblico e quindi l’eliminazione del rischio di default viene visto come condizione indispensabile per la crescita economica e della ricchezza, in grado di favorire quelle magnifiche sorti progressive che ci renderanno finalmente felici e contenti.
Tali costruzioni ideologiche sono ben sedimentate a livello sociale e di intellighenzia e costituiscono una delle basi, comune sia a destra che a sinistra, su cui si fonda il meccanismo biopolitico dello sfruttamento contemporaneo della cooperazione sociale. Ciò che distingue la sinistra dalla destra è al limite il metodo per consentire tale sfruttamento, a partire, però,  dalla comune negazione della sua esistenza e di qualsiasi conflitto di classe che ne potrebbe derivare.
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