Lavorare 24 ore al giorno

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Regione
Lombardia: idea orario continuato per il settore commercio. 


Dopo la Provincia di Milano e il Comune
anche la Regione Lombardia vara le prime misure a sostegno del
reddito per i cosiddetti soggetti ‘deboli’. La prima è un bonus
di 1.500 euro che andrà solo alle famiglie numerose, secondo un
criterio di non facile lettura che potete trovare a breve sul sito
della Regione Lombardia (www.regionelombardia.it).
La cifra stanziata è di 20 milioni di euro. A questa azione, che nel
comunicato del Pirellone viene definita di breve periodo, l’assessore
al commercio Cristiani aggiunge la proposta della liberalizzazione
totale per gli orari del consumo. I centri commerciali della
Lombardia potranno rimanere aperti 24 ore su 24 per 365 giorni.

Il piatto sulla bilancia è ricco. I
patronati sindacali potranno gestire le pratiche per ottenere i
sussidi, domande difficile da completare autonomamente che
necessitano della supervisione di esperti. In cambio i sindacati
saranno chiamati ad accettare le proposte della Regione su tempi e
modi di lavoro. Il sistema dei diritti nel settore del commercio e
servizi, da anni oggetto di pesanti peggioramenti sanciti dall’ultimo
contratto firmato da CISL e Uil ma non sottoscritto dalla CGIL,
diventerà ancora più flessibile. Cade anche l’ultimo tabù che
contrapponeva fabbrica a centro commerciale, produzione a consumo: i
turni su 24 ore. «Dovremo cambiare gli orari delle città,
arriveremo a una non stop del commercio come a New York. Per ora
penso a una notte bianca del commercio ogni 15 giorni. E alla
liberalizzazione degli orari: aperture non stop per chi ce le chiede,
a patto che si impegni a non licenziare», spiega
l’assessore.L’aumento vertiginoso dei licenziamenti sta
diventando il pretesto, colto al volo da decine di aziende, per
rendere ancora più temporaneo il lavoro, i suoi luoghi e contratti,
anche nelle aree europee più ricche. L’eliminazione di centinaia
di migliaia di contratti a tempo indeterminato specie in Germania e
Italia, si accompagna spesso a assunzioni di collaboratori,
consulenti e interinali non solo nelle aziende private, ma anche in
quelle pubbliche. (come sta succedendo nelle Poste e negli Enti
Locali in Italia). La ricetta è quella del liberismo ‘puro’ già
sperimentata con risultati a dir poco fallimentari. Infatti, l’idea
di aumentare i consumi e stimolare la domanda garantendo aperture
continue degli esercizi commerciali, livellando verso il basso
redditi e diritti dei lavoratori/consumatori, si è rivelata un
boomerang sociale pagato a caro prezzo dai ceti più deboli. Una
perdita sensibile ottenuta sia con il peggioramento delle condizioni
di vita, che tramite il successivo ‘salvataggio’ di banche e
istituti finanziari con fondi pubblici sottratti allo stato sociale.
In Italia il fragile sistema dei controlli statali, già labile in
periodi ‘normali’, permette ora alle aziende di aggirare le norme
restrittive della mobilità, le quote di tempi determinati sul totale
degli assunti, i motivi di sostituzione con lavoratori interinali,
collaboratori, appaltati. L’ultima spallata a ciò che rimaneva
dello Statuto dei Lavoratori è cosa fatta. Un crollo silenzioso
però, nessuno ne parla, nonostante in quei brevi articoli siano
riassunte fondamentali norme giuridiche a tutela dei lavoratori. A
volere pensar male il dubbio è che l’eco della crisi, amplificato
da media solitamente cauti nel diffondere dati su questioni
economiche, sia stata se non manovrata ad hoc quantomeno accentuata
per incutere timore nell’opinione pubblica. Attuare un numero così
alto di licenziamenti, già programmati da tempo, in altri momenti
avrebbe generato ben più forti proteste sociali. Ma si sa: "C’è
la crisi", ripetiamo tutti all’unisono come scimmie ammaestrate.
Prima era un ‘fallimento’, una ‘delocalizzazione’ o la scusa
dei ‘conti pubblici in disordine’ a determinare licenziamenti e
privatizzazioni. Oggi le dimensioni di quei licenziamenti sembrano
ridicole. I numeri oggi sono enormi, nonostante i dati ufficiali non
comprendano i precari a vario titolo che non vengono riconfermati.

Se la pessima situazione che stiamo
vivendo dovesse durare nel tempo, allora certe deduzioni sarebbero
stupide, vista la gravità delle loro conseguenze. Ma se tra due o
tre anni gli indicatori economici dovessero, quasi per miracolo, far
registrare forti segni positivi, quella che stiamo vivendo si
potrebbe considerare alla stregua di una grande ‘riorganizzazione
aziendale’. Una ‘ottimizzazione delle risorse’ pagata a caro
prezzo dai soggetti colpiti, attuata per garantire, nonostante i
cambiamenti che hanno investo l’ economia negli ultimi 30 anni,
inalterati margini di profitto agli investitori. L’unico dato certo
è che il mondo del lavoro e quello dei suoi diritti non sarà più
lo stesso d’ora in avanti. E il ‘modello contrattuale’
sottoscritto da governo e sindacati, esclusa la Cgil, sancisce anche
in forma legale il cambiamento di un’epoca.

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