L’ Inps spiega (ma non rivela) la pensione ai precari

Corriere – 6 ottobre 2010

ROMA – L’ Inps invierà la prossima settimana circa 4 milioni di lettere ai parasubordinati, dopo quelle spedite a luglio ai lavoratori dipendenti, per spiegare come consultare on line la posizione previdenziale personale, vedere cioè i contributi che risultano versati. Lo ha detto ieri il presidente, Antonio Mastrapasqua, in un convegno di Ania e Consumatori. Lo stesso Mastrapasqua ha confermato che non sarà invece possibile per il lavoratore simulare sullo stesso sito quella che dovrebbe essere la sua pensione, anche perché, ha aggiunto con una battuta che però nasconde un fondo di verità, «se dovessimo dare la simulazione della pensione ai parasubordinati rischieremmo un sommovimento sociale». Col sistema contributivo i trattamenti maturati da collaboratori e consulenti spesso non arrivano alla pensione minima. Il presidente dell’ Ania, Fabio Cerchiai, pur condividendo una certa cautela ha chiesto di andare verso un’ informazione completa, per rendere consapevoli i giovani della necessità di integrare la pensione pubblica.

Dalla MayDay agli Stati Generali della precarietà

Liberazione – 07 ottobre 2010

La crisi economica e finanziaria continua a battere duro. Il fatto non ci stupisce. Il Governo, con la complicità europea, dopo aver sostenuto per mesi che la crisi era pura invenzione mediatica, promulga prima dell’estate una manovra correttiva alla Finanziaria 2010 di 25 miliardi di euro, colpendo i soliti noti. Immediatamente, Confindustria plaude e si affretta a dire che la ripresa è alle porte. Ripresa, si intende, per i profitti e le rendite, non per il lavoro.

La vicenda di Pomigliano, assunta a simbolo del fallimento delle relazioni sindacali, ci dice molte cose. In primo luogo che diventa impellente fuoriuscire dal ricatto: o lavoro o diritti sul lavoro. Nonostante tale situazione, non si è verificato quella supina e passiva accettazione che si attendeva. La rassegnazione non la fa ancora da padrone. Piuttosto, il senso di impotenza è maggiore nel lavoro terziario, quello meno tutelato (anche dagli ammortizzatori sociali oggi esistenti), più precario e flessibile, sottoposto alla forbice del ricatto ma anche molte volte preso da immaginari individualistici che sviluppano consenso. In secondo luogo, Pomigliano ci dice che in un contesto di precarietà generalizzata (che prescinde la tipologia del contratto di lavoro), la riluttanza a sviluppare capacità vertenziale e propositiva sul tema della riforma del welfare, finalizzata a garantire una continuità di reddito incondizionato a prescindere dalla situazione lavorativa e contrattuale, si è rivelato un drammatico boomerang e ha manifestato tutta la sua miopia.

La risposta della Fiom e l’indizione della manifestazione nazionale dei metalmeccanici del 16 ottobre prossimo rischia di essere debole e parziale se ci si limita a contrastare le politiche repressive in atto
senza avviare in contemporanea una proposta in materia di welfare e precarietà, ovvero reddito e lavoro.

E’ più che mai necessario assumere un punto di vista diverso capace di parlare a quei corpi sociali e produttivi precarizzati. E’ incredibile come oggi ancora più di ieri i precari e le precarie vengano citati, alcune volte evocati ma mai considerati. In cinque anni d’attività il Punto San Precario, agenzia di conflitto, dei precari per i precari, è intervenuto in decine e decine di situazioni lavorative (areoporti, call center, moda, fiera, informazione, cooperative sociali) ove il sindacato è un’ombra, la precarietà dilaga e le parole delle grandi battaglie nazionali sono incomprensibile ai più e non hanno nessuna presa.

Su questo punto, le reti precarie della MayDay, Intelligence Precaria, Uniti contro la crisi, la rete delle realtà operaie che si oppongono in modo autonomo ai processi ristrutturazione delle fabbriche formatasi più di un anno fa, alcuni esponenti del mondo sindacale hanno lanciato nel corso della MayDay 2010 la proposta di welfare metropolitano: garanzia di continuità di reddito incondizionato e libero accesso ai servizi sociali e ai beni comuni.

Ed è partendo proprio dalla necessità di declinare in proposizione politica autonoma tale insieme di rivendicazioni in materia di precarietà e welfare che a Milano si svolgeranno il prossimo week-end 9 e 10 ottobre gli Stati Generali della Precarietà: due giorni di dibattito e discussioni per creare le premesse di una nuova stagione di lotta e di vertenza territoriale a partire da questo autunno.

Purtroppo per noi, siamo in una realtà sociale come quella italiana, nella quale il welfare di fatto non esiste, e laddove esiste, genera storture, dipendenze familiari, iniquità e privilegi. La stessa struttura degli ammortizzatori sociali è ancorata al mondo del lavoro fordista: solo chi aveva da anni un lavoro a tempo indeterminato può oggi sperare di ottenere un sussidio di disoccupazione. Diversi centri di ricerca denunciano che oggi solo il 25% di chi ne avrebbe diritto può ottenere un’indennità di disoccupazione (comunque non superiore agli 800 euro e a scalare) e la quasi totalità dei lavoratori/trici precari ne sono preclusi. Lo strumento della cassa integrazione (ordinaria, straordinaria, in deroga), lo strumento che finora ha consentito più di tutti di garantire per un certo periodo un minimo di reddito, rappresenta oggi una goccia nell’oceano della precarietà ed è vincolata da parametri oggi del tutto inadeguati olte che limitati. L’Italia è, insieme a Grecia e Ungheria, l’unico paese dell’Europa a 27 a non prevedere un intervento di sostegno universale al reddito di ultima istanza. I servizi sociali di base (previdenza, scuola, sanità, asili nido, ecc.) sono stati oggetto di una privatizzazione selvaggia, all’interno di politiche di outsourcing ed sternalizzazione a cooperative private (in nome del principio di sussidiarietà) che ne hanno ridotto la qualità e aumentato i costi per le famiglie.

Di cio non si discute in nessun luogo!

Gli Stati Generali della Precarietà non solo vogliono discutere di questo, ma hanno una duplice ambizione:
1- Creare le basi per un percorso nazionale, intelligente e visionario, radicato nelle lotte e capace di muoversi nel mondo precario con il fine di riprendere le mobilitazioni sui temi dei diritti, sul lavoro e sul reddito: è necessario far percepire alle tante vertenze sulla precarietà e sul reddito che sono oggi e domani in atto – dal settore manifatturiero, a quello pubblico, al terziario – una cornice comune.

2- Dare corpo a questo progetto tramite l’avvio di una campagna nazionale, ma declinata a livello regionale, sul tema della riforma del welfare, che individui nel welfare metropolitano (il welfare del comune) la politica sociale più adeguata alla struttura dell’attuale mercato del lavoro. Esso si basa su due strutture portanti principali. Da un lato, la garanzia ad una continuità di reddito incondizionato a prescindere dalla condizione lavorativa e dallo status professionale e/o sociale e/o di cittadinanza, complementare a qualsiasi altra forma di reddito diretto, come remunerazione della cooperazione sociale produttiva che sta alla base della creazione del valore e oggi espropriata a fini di profitto e rendita privata. Dall’altro, l’accesso ai beni comuni materiali e immateriali, in grado di consentire una piena e libera partecipazione alla vita sociale, tramite la libera fruizione dei beni comuni ambientali e naturali (acqua, aria, ambiente) e dei beni comuni immateriali (conoscenza, mobilità, socialità, moneta, servi sociali primari).

STATI GENERALI DELLA PRECARIETA’. 9-10 ottobre 2010.
Circolo Arci- Bellezza, Via Bellezza 16, Milano.
Informazioni su programma e adesioni: /stati-generali-2010

Intelligence Precaria, Milano

Lavoro, nel weekend due giorni Stati Generali Precarietà

OmniMilano – 06 ottobre 2010

Milano, 06 ott – Un “autunno caldo” di lotte sul territorio e nei luoghi di lavoro. Lo annunciano i lavoratori precari milanesi, che sabato e domenica prossima si riuniranno in una due giorni di Stati Generali organizzata da Mayday e aperta a tutte le realta’ italiane e europee interessate a proporre una strategia comune. Attraverso i dibattiti, le assemblee, i workshop su lavoro, grandi opere e diritti in programma all’Arci Bellezza, i lavoratori studieranno questa
settimana le nuove “tattiche” per affrontare la precarieta’, che a Milano come nel resto del paese “colpisce duro” e dalla quale “nessuno può più dirsi al riparo”. Proporre, discutere, immaginare, lottare e’ anche l’obiettivo dell’assemblea
nazionale dei Lavoratori Uniti contro la Crisi, che si terra’ sabato a partire dalle 11, dopo l’inaugurazione dei lavori.
All’urlo “riprendiamo in mano il nostro futuro”, collettivi, sindacalisti, mediattivisti e precari sono stati tutti invitati
a partecipare per capire anche come agire la’ dove non arrivano i sindacati. “Per un autunno all’attacco”.

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Anatomia di una crisi occupazionale.

Tra luglio 2008 e luglio 2010 si sono persi 881mila posti di lavoro. Colpiti per primi i lavoratori temporanei. Netto calo delle assunzioni, ma licenziamenti contenuti grazie alla cassa integrazione.

Ricapitoliamo i dati essenziali della crisi occupazionale. Secondo i dati Istat – forze di lavoro, dopo il livello massimo di occupazione raggiunto in Italia nel luglio 2008, nel successivo biennio contrassegnato dagli effetti della recessione, il calo degli occupati è stato pari a 881mila unità (utilizzando i dati relativi al luglio 2010): da 23,8 milioni si è scesi a 22,9 milioni (- 629mila è il dato destagionalizzato). Sui dati grezzi, il calo è di poco inferiore al 4 per cento, sui dati destagionalizzati si attesta al -3 per cento. Ècome dire che per ogni gruppo di 30-35 occupati, ora ce n’è uno in meno.


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Il calo dell’occupazione risulta rallentato nei primi due trimestri del 2010, ma è di sicuro troppo presto per parlare di un’inversione di tendenza e dell’avvio del recupero dei posti di lavoro persi negli ultimi ventiquattro mesi.


LE DUE FASI DELLA CRISI OCCUPAZIONALE

I dati amministrativi disponibili, relativi a tutti i rapporti di lavoro dipendente aperti o chiusi, per quanto non disponibili per tutte le Regioni, consentono alcune rilevanti precisazioni. (1)
I saldi negativi tra assunzioni e cessazioni confermano innanzitutto la riduzione effettiva dei posti di lavoro, che deriva essenzialmente dal netto calo delle assunzioni: attorno al -20 per cento tra il 2009 e il 2008 e pressoché stabili nel primo semestre 2010 rispetto al corrispondente semestre del 2009. Per quanto riguarda le cessazioni, l’incremento di quelle involontarie (licenziamenti o conclusione naturale dei rapporti a termine) è stato controbilanciato dal calo di quelle volontarie (dimissioni). L’effetto complessivo finale delle due tendenze è la netta contrazione della mobilità nel mercato del lavoro.
I dati amministrativi consentono inoltre di distinguere chiaramente, nel decorso della crisi, due fasi: la prima è quella della iniziale risposta del mercato del lavoro al veloce tracollo, dopo il settembre 2008, dei fatturati, dell’export e degli investimenti; la seconda è quella dell’adattamento alla crisi come si è dipanato dalla primavera 2009, quando l’economia italiana ha iniziato un periodo di oscillazioni continue tra annunci di debole ripresa e frustrazioni per il suo mancato decollo.
Nella prima fase la contrazione dei livelli occupazionali è passata soprattutto attraverso la diminuzione delle assunzioni e delle proroghe, mentre relativamente contenuto è stato l’incremento dei licenziamenti, arginato soprattutto dal diffuso ricorso alla cassa integrazione. Ciò ha generato un’immediata riduzione del numero complessivo di posizioni di lavoro temporaneo – la precarietà è divenuta disoccupazione – e una diminuzione della loro quota sul totale. I rapporti di lavoro temporanei si sono ridotti di numero (in particolare le “missioni”, vale a dire i periodi di utilizzo di lavoratori con contratto di somministrazione, si sono dimezzate) e, leggermente, anche di durata. Inoltre si è drasticamente ridotta la probabilità per i lavoratori impiegati con contratti temporanei di ottenere proroghe o di rioccuparsi con facilità presso altre imprese. Non sono diminuite, invece, le trasformazioni di rapporti temporanei in rapporti a tempo indeterminato, evidentemente già “scontate” con scelte di politica del personale antecedenti alla crisi. I settori protagonisti, in negativo, del restringimento della base occupazionale come prima reazione all’avvio shock della crisi sono stati il manifatturiero in genere (soprattutto meccanico) e il settore delle costruzioni; i lavoratori più direttamente interessati sono stati i giovani e gli immigrati, per lo più maschi.
La seconda fase, che possiamo datare dalla fine dell’inverno 2008-2009, appare caratterizzata da una minor selettività, ma da una maggior pervasività degli effetti della crisi: come il sasso gettato nell’acqua produce onde successive sempre più deboli ma sempre più larghe, così la riduzione dei posti di lavoro si è progressivamente allargata anche a diversi segmenti del terziario, ha coinvolto manodopera femminile, sta interessando lavoratori non solo giovani, soprattutto sta riducendo i posti di lavoro a tempo indeterminato, proprio mentre risultano un po’ risalite le attivazioni di contratti di somministrazione e di lavoro temporaneo. (2)
Appare evidente l’estrema cautela delle imprese in ogni scelta di recruitment e il favore relativo assegnato alle formule meno impegnative, dal part-time al lavoro intermittente, dai voucher alle collaborazioni a progetto. Mentre i candidati lavoratori devono fare i conti con una fase di scarsa domanda e quindi di deciso svantaggio negoziale. Per una quota difficile da stimare, ma non proprio irrisoria, di lavoratori immigrati, la strada del ritorno a casa, soprattutto se provenienti dai paesi dell’Est Europa (e specie se comunitari), è diventata un’opzione concretamente perseguita.


NESSUN MIGLIORAMENTO ALL’ORIZZONTE

Nessuna previsione, tra quelle fin qui disponibili, si spinge a ricavare inferenze positive sul livello complessivo dell’occupazione dalle stime che girano sulla dinamica del Pil. Ben che vada, assisteremo ancora al proseguire degli aggiustamenti: una modesta, quasi impercettibile, ripresa dei rapporti di lavoro temporanei e parasubordinati nei settori che hanno catturato la domanda di mercati internazionali espansivi (Germania, Asia), nel quadro di un consolidamento di livelli occupazionali complessivi inferiori a quelli pre-crisi. Mentre per diverse aziende ci sarà la “risoluzione” – negativa o positiva – delle posizioni di lavoro a tempo indeterminato fin qui “congelate”: così dalla gestione delle crisi di impresa via Cig l’attenzione si dovrà spostare alla gestione della disoccupazione e dei rischi che essa divenga di lunga durata. Disoccupazione che, alla fin fine, potrà essere curata solo dalla creazione di nuovi posti di lavoro, connessi a nuove iniziative imprenditoriali e all’esplorazione di nuovi segmenti di domanda, interna ed estera.

(1) Vedi ad esempio per il Veneto il numero 30 di Misure (www.venetolavoro.it).
(2) I licenziamenti in questi mesi continuano su livelli mensili non distanti nel complesso da quelli del 2009, per effetto della compensazione tra i licenziamenti nelle piccole imprese – che dopo essere quasi raddoppiati tra il 2008 e il 2009, nel primo semestre di quest’anno sono diminuiti del 15 per cento rispetto al primo semestre 2009 – e i licenziamenti nelle imprese over 15 addetti, che sono aumentati del 40 per cento tra il 2008 e il 2009 e ulteriormente – attorno al 10-15 per cento rispetto al corrispondente semestre del 2009 – nel primo semestre del 2010.


http://www.lavoce.info di Bruno Anastasia

Per le partite Iva è sempre Pomigliano

Corriere.it – 14 settembre 2010

I malumori degli «invisibili»: il confronto sul lavoro? Solo per chi ce l’ha già. E lo Statuto non arriva

Per le partite Iva è sempre Pomigliano

Sarà solo una questione di punti di vista ma al popolo delle partite Iva tutto il battage che si è fatto e si sta facendo sul caso Pomigliano non va proprio giù. Un economista osserverebbe che si ripropone nel dibattito pubblico e sul mercato del lavoro la divaricazione (anche psicologica) tra insider e outsider, un cronista racconta i discorsi che sente fare. Che inevitabilmente battono su considerazioni («ma alla fine quanti sono i lavoratori metalmeccanici delle grandi imprese italiane?») contrapposte a una realtà, per l’appunto, del mercato del lavoro dove abbondano le partite Iva con mono-committenza, «che lavorano di fatto per un solo padrone senza poter accampare diritti e tutele». Pomigliano o no, è evidente che mentre le nuove assunzioni avvengono tramite contratti a progetto, lavoro a tempo determinato, stage e lavoretti vari, l’attenzione dei decisori resta puntata sulle grandi fabbriche e sui conflitti più o meno ideologizzati tra Confindustria e Fiom-Cgil. I duri rubano la scena ai tanti e il patto sociale di cui si va almanaccando riguarda comunque alla fin fine una minoranza di lavoratori. È come se Cipputi si fosse preso la vendetta sui suoi nipotini e su quanti ne avevano proclamato l’estinzione. «Nel frattempo noi restiamo nell’ombra e siamo costretti a competere persino con il lavoro gratuito — denuncia Alfonso Miceli di Acta, l’associazione dei consulenti del terziario avanzato —. Le aziende fanno sempre più ricorso a stage post-curriculari di sei mesi non retribuiti. Oppure chiamano dei pensionati. È chiaro che gli spazi si chiudono e la competizione è al ribasso». La diffusione degli stage non pagati è così ampia che è nato un sito che raccoglie i giudizi dei giovani dopo l’ esperienza fatta nelle varie aziende. L’obiettivo è sconsigliare quelle che-ti-fanno-perdere-solo-tempo. Ma cosa riserva alle partite Iva l’anno di business che si è appena aperto? Quali sono le novità che ci si possono attendere a livello di mercato e di nuove norme? Sul piano delle occasioni di mercato tutti segnalano pessimisticamente il taglio delle consulenze da parte della pubblica amministrazione, mentre sul versante privato la ripartenza delle aziende ancora non si è vista. O per volere essere ottimisti, ancora non si è dispiegata.

C’era, poi, molta attesa per lo Statuto dei lavori promesso dal ministro Maurizio Sacconi. È assai difficile però che nel testo governativo ci possano essere novità e ricadute per le partite Iva. A quanto si capisce, alla fine la discussione si polarizzerà inevitabilmente sulla derogabilità delle norme già vigenti, investirà poco o tanto il tema dell’articolo 18 e punterà a produrre un avviso comune governo-sindacati. Ma i protagonisti saranno, come sempre, Cgil-Cisl-Uil e il lavoro dipendente, non certo gli autonomi. È possibile che qualche norma alla fine disciplini la figura dei co.co.co. prevedendo maggiori tutele normative, il grosso della discussione però riguarderà ancora una volta il nocciolo duro degli insider. È inutile farsi illusioni. Le associazioni delle partite Iva non si stancano di sottolineare l’iniquità dei versamenti per la gestione separata dell’Inps, che sono arrivati al 26,73% del fatturato. Con il sistema degli anticipi, sostengono, si finisce per pagare in base agli anni precedenti la Grande Crisi, periodi in cui si era guadagnato di più. «Molti di noi non sono in grado di pagare e devono ricorrere a un prestito bancario oppure scoprire che a fronte del ritardato pagamento ci sono multe che arrivano al 75% dell’importo dovuto. Lo Stato ci costringe a pagare per assicurarci un futuro ma ci impedisce di sopravvivere nel presente» sottolinea polemicamente Miceli. Il contenzioso con l’Inps riguarda anche le proiezioni sull’ammontare della pensione da riscuotere a fine attività. Acta insiste perché, come si fa in Svezia, l’Inps fornisca ai contribuenti della gestione separata un range di previsioni ma pare un dialogo tra sordi e quindi nessun cambiamento in vista, almeno a breve. Anche l’Irap fa parte del cahier des doleances: i lavoratori autonomi che non dispongono di una struttura organizzata non dovrebbero pagarla ma poi le cartelle esattoriali arrivano, partono le cause con l’Agenzia delle Entrate e alla fine comunque, anche in caso di vittoria del contribuente, le spese legali non vengono recuperate. Così in tanti preferiscono rateizzare ed evitare di far causa.

La novità che potrebbe maturare sul delicatissimo terreno previdenziale riguarda il ruolo delle Casse professionali già esistenti, che potrebbero ampliare il loro raggio d’azione fino alle partite Iva. È sicuramente un’ipotesi interessante, tutta però da costruire in una logica che gli esperti definiscono di «welfare di mutualità». È anche vero che il sistema delle Casse necessita — già a bocce ferme — di una verifica del funzionamento e di una riorganizzazione complessiva, forse di un accorpamento. Non si occupa delle Casse ma tenta di ridisegnare il sistema pensionistico dei lavoratori autonomi il disegno di legge bipartisan preparato da due parlamentari molto competenti, come Giuliano Cazzola (Pdl) e Tiziano Treu (Pd) e fermo nei due rami del Parlamento in attesa di una calendarizzazione. Non ci sono commenti ufficiali di parte governativa sul testo ma secondo indiscrezioni il ministro Sacconi lo considera molto oneroso per i conti pubblici. L’ex ministro Treu ha lavorato con continuità e con aggiornamenti successivi anche a uno Statuto del lavoro autonomo. Il testo finale presentato in Senato e anch’esso in attesa di essere assegnato alla commissione Lavoro di palazzo Madama, è molto apprezzato da alcune associazioni professionali come il Colap. Conferma il presidente Giuseppe Lupoi: «Posso dire che il progetto Treu è molto vicino alla nostra posizione».

Uno dei punti chiave è il ruolo delle associazioni. «Vanno riconosciute ancora prima delle nuove professioni — sostiene Lupoi —. Se avvenisse il contrario avremmo creato tanti nuovi ordinicchi e noi non li vogliamo». Le professioni, del resto, sono in rapida evoluzione e quello che dieci anni fa avremmo definito «informatico», oggi cosa fa davvero? Oppure analizziamo i mestieri del web e avremo la dimostrazione di come siano poco riconducibili a singole figure come il comunicatore, il giornalista o il softwarista. Non tutte le associazioni sono però favorevoli ad accentuare il loro ruolo. Per Acta, Anna Soru mette in guardia da quello che definisce «un assetto corporativo» in cui le associazioni finiscono per intermediare funzioni prerogativa dello Stato. È giusto, invece, che le organizzazioni certifichino la qualità ma il consulente e la partita Iva che scelgono di non tesserarsi non devono essere in nessun modo penalizzati. Pur apprezzando il dibattito interno all’associazionismo c’è da dire che il vero problema appare quello dello slittamento delle soluzioni e del congelamento dei problemi. L’agenda politica non pare aver intenzione di mettere veramente al centro dell’attenzione nessuno dei progetti menzionati. Le partite Iva restano condannate all’invisibilità. Ci sono persino dubbi che le proposte di Cazzola e Treu arrivino in un tempo utile alla discussione parlamentare e le variabili politico-generali non sono certo favorevoli. La legislatura è considerata appesa a un filo e «l’ultima cosa che pensa la maggioranza è occuparsi di queste cose» accusa lo stesso Treu dal suo scranno di senatore dell’opposizione

Dario Di Vico