Perchè in Italia non si fa lo sciopero generale?

L’interessante e stimolante Haaretz, organo della intellighentia israeliana davvero liberal ed assai più onesto di giornali di sinistra europei come l’Unità, si domanda oggi perchè, nonostante il peggioramento delle condizioni di vita e la sempre minore tutela di diritti civili e sociali, la popolazione israeliana non scende in piazza, non combatte per difendere le sue conquiste, non si contrappone ad un governo che spende tutte le sue risorse al mantenimento di un potere militare sempre più pesante, sempre più esigente. Alla domanda si risponde lo stesso autore dell’articolo, Michele Merav, con queste parole: “Le organizzazioni sociali per il cambiamento hanno un built-in limitation, agiscono dall’esterno, e non possono apportare modifiche. Nella loro esistenza essi funzionano come valvole per sfogarsi e, soprattutto, essi ricevono finanziamenti anche dal governo e individui ricchi – i cui scopi e le attività sono in contraddizione con gli obiettivi politici e sociali delle organizzazioni. Quindi, indirettamente, le organizzazioni sono in realtà parte del sistema che rafforza i ricchi e potenti.”
Con queste parole ha descritto senza volerlo anche la nostra realtà nella quale le organizzazioni confederali dei lavoratori fortissime di oltre dieci milioni di associati che conferiscono ad esse anche una solidissima stabilità economica non alzano un dito a difendere le urgenze dei propri rappresentati. Nei mesi scorsi, moltissimi lavoratori europei sono scesi in piazza in Francia, in Portogallo, in Grecia, in Gran Bretagna, in Spagna con imponenti scioperi generali, a volte ripetuti, rivolti a frenare il progetto dei loro governi di far pagare soltanto al lavoro dipendente ed al welfare i costi della “crisi” indotta dalla truffa finanziaria di wallstreet e dalle strabordanti spese militari USA di fatto addossate a tutto il pianeta. Si sono realizzati molti scioperi generali. In Francia uno di questi scioperi è stato dedicato alla riforma Sarcozy delle pensioni. In Italia, nonostante ripetute sollecitazioni legate al tanto malessere diffuso tra i lavoratori, non si è mai fatto un solo sciopero generale. Tremonti si è vantato in UE di avere fatto una riforma fondamentale delle pensioni che ne ha innalzato la soglia a settanta anni senza una sola ora di sciopero dei pensionati e dei lavoratori italiani. Ora, tutto il Magreeb, molta parte del mondo arabo dal Marocco allo Yemen è in lotta contro tirannidi che hanno fatto i bagordi a spese di bassissimi salari, disoccupazione, fame dei loro popoli. In Egitto, in Tunisia ed altrove la lotta contro i regimi è stata alimentata in grandissima parte da un proletariato poverissimo che pretende salari migliori.
Insomma, nonostante l’Italia sia circondata da un cerchio di fuoco di lotte e di rivendicazioni, non si muove ed anzi lascia languire fino alla estinzione la lotta organizzata da categorie come gli studenti ed i professori o da sindacati liberi come i cobas.
Eppure in Italia la situazione economica e sociale è gravissima e volge a vera e propria crisi per l’aggravarsi del debito pubblico e la netta diminuzione del potere di acquisto delle masse. Si stanno licenziando oltre centomila professori e, con il mancato turn over, la pubblica amministrazione perderà cinquecentomila posti di lavoro (tanti quanti ne ha tagliato Cameron in Inghilterra). Il contratto di lavoro è stato aggredito dalla Fiat e dalla Confindustria e tende ad essere escluso in zone sempre più ampie del Paese, la legge Biagi
ha tagliato le ali a milioni di ragazze e ragazzi ridotti al supplizio di un precariato inventato appunto per schiavizzarli, la scuola, l’università e la sanità sono state ristrutturate per fornire servizi dequalificati che costringono a ticket ed esborsi sempre più pesanti, c’è in corso una terziarizzazione ed una finanziarizzazione senza sviluppo del sistema economico con la scomparsa, dopo l’industria pesante di base, della grande industria manifatturiera ed i tre bronzei mandarini del sindacalismo confederale, Bonanni, Angeletti e Camusso, assistono imperterriti, lasciano fare. Si può dire che non solo non hanno fatto una reale opposizione alle scelte più dure del governo (collegato lavoro) e del padronato italiano (Pomigliano e Mirafiori), ma ne sono stati complici attivi o soltanto passivi.. La richiesta dello sciopero generale chiesta dalla Fiom fin dal 16 ottobre scorso a Epifani e richiesta alla signora Camusso dal poderoso sciopero sempre della fiom del 28 gennaio non è stata accolta dalla CGIL e dal momento che anche il tempo è un fattore politico di primario valore indire uno sciopero generale oggi o tra un mese non avrà più il valore e la capacità di influire sugli eventi che avrebbe avuto sei mesi fa. In Sicilia si dice: “minestra quadiata”. Una cosa fuori tempo massimo invecchiata e resa inutile dal suo anacronismo che potrebbe essere riscattata, e non lo sarà, da richieste precise che non saranno avanzate sul precariato, le pensioni, i salari, i contratti. Dal che è lecito il sospetto che ci sia una sorta di patto segreto, parasociale, nel patto sociale stipulato dai tre sindacati e le associazioni padronali. Patto sostenuto non solo da Sacconi e dal Governo ma anche dal PD che vorrebbe realizzare la stessa politica liberista del centro-destra succedendo al governo del postribolare Berlusconi oramai bruciato a livello internazionale e destinato a cedere il posto a Bersani o chi per lui.
Insomma, l’Italia non si muove perchè le maggiori organizzazioni sociali che dovrebbero organizzare la protesta sono legate ad interessi con il padronato ed il governo che li portano ad esprimere interessi che sono addirittura confliggenti con quelli dei loro “rappresentati”. Il legame aureo si chiama sussidiarietà e si concretizza negli enti bilaterali e nella legislazione paragovernativistica. Le organizzazioni di base che si mobilitano riescono a realizzare manifestazioni imponenti ed assai sentite che tuttavia vengono deliberatamente ignorate dai massmedia, dal Parlamento e dai Partiti che le considerano poco meno che espressioni di un sovversivismo sociale da controllare e considerare meri problemi di ordine pubblico.
La situazione dell’Italia degrada. Stiamo diventando la Tunisia d’Europa. Un Paese per turisti e come diceva sprezzantemente un vecchio operaista che ho tanto stimato “un paese di camerieri”. Marchionne si permette di sfottere il Parlamento raccontandogli la favoletta di una Fiat che ha il “cuore” in Italia anche se porta “il cervello” a Detroit o New York. Oggi sentivo un senatore in TV che gli dava ragione, sostenendo che la logica multinazionale non può essere evitata e la Fiat deve fare la sua strada. Il Parlamento ha ascoltato facendo finta di credervi le barzellette di una utilizzazione al quaranta per cento degli impianti che potrebbe essere raddoppiata all’ottanta per cento se gli operai decidono di farsi mettere la cavezza, di non scalciare, di stare dieci ore a digiuno compiendo in tutte le ore sempre lo stesso numero di movimenti programmati dal sadico inventore del WCM.
I politici italiani hanno fatto finta di credere alle mirabolanti e sarcastiche proposte di Marchionne. Anche le tre Confederazioni. Naturalmente, non ci sarà alcuna reazione tranne quella inevitabili dei lavoratori che di volta in volta sono vittime designate dei progetti aziendali.
In Italia cova un terribile malessere, una collera sociale che può diventare spaventosa. Nanni Moretti dice che questo non è paese da insurrezioni. Ma la manifestazione delle donne ” se non ora quando” ha messo in luce una corda quasi lesionata, quasi rotta. La gente reagisce al precariato, alle privatizzazioni, ai bassissimi salari, alla prospettiva di non avere mai una pensione…. Cgil, Cisl, Uil, il PD, il Parlamento, il Governo fanno da tappo
ed impediscono l’organizzazione di una dura protesta. Ma la molla non può essere tenuta compressa troppo a lungo e prima o poi scapperà di mano ai giudiziosi collaborazionisti
con la pancia piena che il Regime riempie di medaglie ma che non incantano più nessuno perchè non hanno più il monopolio della comunicazione.
Pietro Ancona

Da Arcore ar Core della questione… tutti a casa. Que se vayan todos.

L.o.a Acrobax (Roma)

Il velo d’ipocrisia che ancora in questo paese porta a condannare in modo indiscriminato e cerchiobottista ogni forma di ribellione chiamandola violenza, è ormai squarciato da un contesto internazionale che ha deciso di respingere con forza ogni forma di autoritarismo, di corruzione e arroganza nella gestione del potere e della crisi. Un potere politico che ha perso qualsiasi contatto con le problematiche della società e ancor di più ha perso, se mai l’ha avuta, ogni legittimazione nei termini di riconoscimento democratico e popolare.
Con un governo che porta avanti manovre eversive che minano alle fondamenta l’attuale assetto costituzionale, con le derive sempre più autoritarie e autocratiche sostenute da un personaggio a capo delle peggiori cricche del paese, quale sarebbe la violenza di chi a mani nude e volto scoperto si raduna sotto la reggia presidenziale di Arcore? Qual è la dignità di quelle forze dell’ordine che come nel resto del mondo si dimostrano ancora una volta supine sotto il comando di chi le usa come servizio taxi nelle lunghe serate di baldoria?
C’è qualcosa che richiama la presa di Versailles nello scatto di dignità che le manifestazioni di piazza stanno dando ai potenti di tutto il mondo.
Dopo il 14 dicembre, nonostante le manovre di un parlamento di servi, corrotti e voltagabbana, si è affermata in tutto il paese reale la volontà di esprimere la sfiducia totale nei confronti di questo governo e di tutta una classe politica troppo impegnata nella spartizione del potere e delle ricchezze che derivano dalla gestione della crisi economica (vedi grandi opere, cancellazione di ogni normativa contrattuale e di tutela del lavoro…).
Ieri eravamo impegnati nel supporto della manifestazione della comunità egiziana a Roma ed il filo che ci lega ai compagni e alle compagne del no Expo è molto più che ideale.
Da Roma a Milano solidarietà materiale nelle lotte contro le speculazioni, le cementificazioni, contro la precarizzazione delle nostre vite, per la difesa dei territori e dei diritti di sociali e di cittadinanza.

Berlusconi come Mubarak te ne devi andare!
Tutti liberi

L.o.a. Acrobax

Disobbedienza non è violenza (sui fatti di Arcore)

Arcore, 6 febbraio 2011: disobbedienza non è violenza. Resistenza viola piemonte

Unità non significa uniformità. Disobbedienza non significa violenza. Sono tanti e diversi ma molto uniti tra loro i progetti criminali della classe politica. Sono pochi, diversi e purtroppo ancora divisi tra loro, nelle forme più ancora che nei contenuti, i movimenti che resistono e si oppongono.

La  violenza peggiore la subiamo noi, ogni giorno, insultati da atti, decreti, dichiarazioni e comportamenti di una classe politica sempre più corrotta, collusa, occupata ad usare una carica pubblica per l’ormai palese tutela dei propri interessi o degli interessi della solita lobby imprenditoriale.
Dopo lo straordinario NoBDay del 5 dicembre 2009 abbiamo manifestato per oltre 14 mesi il nostro dissenso, contro chi ci ruba il futuro, al fianco degli studenti, dei lavoratori, dei precari, dei disoccupati, degli immigrati rinchiusi nei nuovi lager, i CIE, dei NO TAV, delle donne di Terzigno. Ma abbiamo anche saputo “alzare la testa”  e contestare, sempre pacificamente, la presenza di Schifani alla festa del PD, a settembre a Torino. E per questo siamo stati chiamati “fascisti”, “squadristi”, “facinorosi”, “anarco-insurrezionalisti”.
Non siamo nulla di tutto questo. E se siamo “squadristi” lo siamo come estremi (pur sempre pacifici) difensori di una democrazia che cade a pezzi che non trova neanche nei partiti della cosiddetta opposizione una rappresentatività, siamo stanchi di restare a guardare e pur continuando a manifestare pacificamente riteniamo non solo un diritto ma un dovere far sentire la nostra voce, quella di un’Italia che non si arrende, quella di un’Italia che dice ORA BASTA!
Le piazze colorate, goliardiche, ironiche, sono un segnale importante, ma un segnale altrettanto significativo sono le voci di quei cittadini, uomini e donne, giovani e anziani, che sentono il bisogno di far arrivare la loro indignazione a chi con troppa arroganza si arrocca nei propri palazzi, difeso da quelle forze dell’ordine che fanno un dovere che sfiora ormai il paradosso, difendere corrotti e collusi con la mafia da cittadini pacifici, onesti, ma determinati. Quelle voci vanno ascoltate, non ignorate e tanto meno isolate. Un errore commesso in passato da troppi movimenti.

Si continua, purtroppo, a parlare solo di violenza. Eppure nessuno ha cercato “lo scontro”, meno che mai l’organizzazione (la Rete Viola) che ha sempre invitato alla calma e a restare nella piazza. Ma è giusto raccontarli tutti, perché i primi scontri ai quali abbiamo assistito sono stati quelli tra partiti come IDV e PD che hanno contestato con violenza verbale e fisica lo striscione del Movimento 5 stelle, considerandolo offensivo perché riportava la frase “LICENZIAMOLI TUTTI”, riferito ai partiti al governo e a quelli dell’opposizione. Eppure i “costituzionalisti” dovrebbero sapere che è ancora consentito  esprimere liberamente il proprio pensiero, in questo paese.
Tutta l’attenzione mediatica è andata a quella violenza (non così drammatica come riportata strumentalmente dai media) scatenata dalle cariche partite a manifestazione ormai finita. La prima carica di sfollamento è partita senza alcuna provocazione violenta da parte dei manifestanti. I lanci di bottiglie sono arrivati dopo. Evidentemente l’obiettivo era disperdere la folla, troppo vicina alla villa dove domenica c’era il premier. E per farlo hanno aspettato che i cittadini che tradizionalmente compongono il movimento viola (perché c’erano e questo è innegabile)  si allontanassero dalla linea delle forze dell’ordine. Lasciando i più giovani, gli studenti, i più arrabbiati perché sanno di non avere un futuro. Cosi’ era più facile etichettare il dissenso come  quello di facinorosi, centri sociali, estremisti.
Qui il video che mostra l’inizio del corteo, e la presenza di tanti viola (oltre al nostro gruppo): http://www.youtube.com/watch?v=BQFreBPLiIk
Troppo pericoloso mostrare alla stampa mondiale che l’Italia reagisce, che uomini e donne di ogni età e con una diversa provenienza affrontano con decisione un corteo non autorizzato per affermare, pacificamente, che “la misura è colma!”. Dovevano minimizzare l’accaduto, ridurlo ai “professionisti della violenza”,  quella carica non è partita per il lancio di bottiglie o altro. E’ partita perché non si potevano permettere di mostrare tanta indignazione di molti cittadini cosiddetti “normali”. Cosiddetti, appunto.
Per motivi logistici a quell’ora erano rimasti solo i “locali” perché chi arrivava da fuori doveva rientrare all’autobus, ma dissociarsi o etichettarli come estranei, come “non viola” o come “altro” , a ben guardare, fa il loro gioco. Perché tanti sono venuti alla manifestazione con modi e forme di protesta diversi. Non sta a noi, che non siamo un partito, dire chi puo’ dirsi viola e chi no. E’ molto, troppo autoreferenziale.  La Rete Viola sta costruendo una nuova unione ma unità non significa uniformità. Molti viola erano in quel corteo, un corteo chiesto a gran voce dalla piazza e partito spontaneamente dalla stessa.
Disobbedienza civile non è violenza. L’unica violenza ieri l’hanno subita i manifestanti… e i due ragazzi che sono stati processati sono giovani impegnati,  attivisti che meritano la nostra solidarietà, che non hanno alzato “un dito” verso alcun poliziotto, hanno usato la voce, hanno gridato slogan (infatti sono tornati in libertà, l’udienza è prevista il 7 marzo).
Come Resistenza Viola esprimiamo massima solidarietà ai due arrestati, auspicando che i video della manifestazione possano mostrare che il loro dissenso si è avvicinato alla villa di Arcore sempre in modo pacifico e non hanno fatto alcun tentativo “fisico” di forzare il cordone delle forze dell’ordine.” Nessuno  ha forzato il cordone, nessuno ha spinto, nessuno ha fatto nulla per andare oltre, non c’era nessuno con passamontagna, armi o oggetti contundenti. Ci si è fermati al limite posto, dalle forze dell’ordine.
Oggi le piazze sono “urlanti”, perché la situazione è drammatica e se migliaia di persone domenica hanno affollato la manifestazione di Arcore, dopo i primi interventi si percepiva un diffuso senso di disagio, probabilmente dovuto al fatto di essere tenuti a distanza da quella villa nella quale sono entrati, scortati, mafiosi, escort e papponi. Sempre più spesso le grandi manifestazioni portano forme diverse di dissenso e dimostrano che l’indignazione è crescente. Più che dissociarci dovremmo evidenziare che i parlamentari prezzolati che stanno svendendo la nostra dignità per garantire la solida maggioranza del peggior governo degli ultimi 150 anni sono il peggior segnale che si possa dare ad un paese che da anni, pacificamente, chiede che la politica sia fatta con le mani pulite! E quando le istituzioni vengono meno al dovere di rappresentare tutti i cittadini, i cittadini percorrono strade diverse, per l’autodeterminazione.

Il punto fondamentale non era “dissociarsi” da forme diverse di espressione dell’indignazione che ha ormai raggiunto livelli massimi ma, piuttosto, ricordarne le ragioni. E su quelle ricordare le responsabilità di chi da troppo ignora questa voce.

Quanto è successo, ad Arcore, è stato una risposta pacifica ma determinata alla violenza dello Stato. Abbiamo letto e recitato come un mantra quell’articolo 54 della nostra Costituzione per il quale abbiamo richiesto le dimissioni di Silvio Berlusconi che, originariamente, era stato formulato in questi termini (e poi modificato):

Art. 50 – Ogni cittadino ha il dovere di essere fedele alla Repubblica, di osservarne la Costituzione e le leggi, di adempiere con disciplina ed onore le funzioni che gli sono affidate.
Quando i poteri pubblici violino le libertà fondamentali ed i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza all’oppressione è diritto e dovere del cittadino.”
Resistenza Viola Piemonte

Lettera ai media sui fatti di arcore, giacomo e lotta noexpo

Gentile redazione,

sino ad ora abbiamo seguito quest’inverosimile polemica sui “violenti ad Arcore” in posizione defilata, per non offrire ulteriori motivi attraverso cui potesse essere alimentata. Oggi ci sembra il caso di fornire alcune spiegazioni in virtù di un’assenza di contradditorio nel dibattito mainstream che per un paese, che si dichiara democratico, è sinceramente preoccupante. Siamo il Comitato No Expo e, dopo alcuni giorni in cui veniamo ripetutamente citati, ci piacerebbe pure che si dicesse quanto meno cosa siamo.

Il Comitato nasce poco dopo la candidatura della città di Milano alla gara d’assegnazione di Expo2015, a seguito della preoccupazione sorta, ad alcuni cittadini di Milano e hinterland (appartenenti a centri sociali, società civile e associazioni territoriali), rispetto all’impatto sui territori. Motivo? La memoria dei vari precedenti “grandi eventi”, che tendenzialmente han procurato al territorio che li ospitava uno svuotamento delle attività esistenti, fenomeni di gentrification, peggioramento dei livelli d’inquinamento (a Milano già critici) e fenomeni speculativi molto preoccupanti alimentati, nel caso di Expo milanese, da una forte presenza della ndrangheta, che rende possibile un enorme potenziale di denaro riciclabile. Da subito il Comitato si è posto nei confronti della città con modalità inclusive, cercando di porsi più come una rete o un coordinamento di soggetti attivi sulle questioni territoriali piuttosto che un gruppo politico identitario ed esclusivo. Così facendo abbiamo collaborato con comitati di quartiere, comitati per la casa, organizzazioni ecologiste, centri sociali, sindacati, partiti politici, associazionismo vario e più in generale con tutti coloro che tengono a cuore il proprio territorio e non sono disposti a offrirlo al padrone di turno. E’ probabile che gran parte del popolo pervenuto ad Arcore domenica scorsa sia passato dal nostro Festival NoExpo nel maggio scorso al C.S. Fornace oppure sia venuto a un’altro dei molti appuntamenti a cui eravamo presenti. Il vostro, come altri giornali, hanno dedicato poca attenzione a questi eventi dove si sviluppava la critica alla gestione della città e l’eccessiva influenza su di essa di centri di potere (bipartisan). Ciò faceva meno notizia degli eventi legati ai costumi immorali del capo di governi di cui, nella nostra azione, costantemente critichiamo le leggi e le pratiche derivanti: di emarginazione, sfruttamento e oppressione razzista nei confronti  dei migranti (legge Bossi Fini), di accentuazione della condizione di precarietà lavorativa (legge Biagi) e infine il cosiddetto decreto Ronchi che mira alla privatizzazione dei servizi pubblici, in particolare dell’acqua, contro di cui andremo a referendum.

E’ sicuro che ad Arcore si trovava Giacomo, un compagno di viaggio ormai da anni, che per il Comitato ha fa l’altro prodotto sia articoli per la rivista che narrano lo scempio ambientale della zona nord di Milano, in particolare parlando della sua Desio (città in cui la giunta è stata commissariata per infiltrazione mafiosa), sia una collaborazione per il lavoro di mappatura territoriale online www.lamappa.org. Al di là delle immagini che testimoniano abbondantemente la prevaricazione subita da Giacomo per mezzo di un fermo ingiustificato, ci sembra opportuno affermare l’indignazione nei confronti di chi giudica la presenza di componenti del Comitato NoExpo in situazioni di quel tipo come un’azione d’intrusione, come se non fosse quello invece il contesto naturale in cui per noi stare.

Riteniamo che la legittimità di un’affermazione di questo tipo possa essere messa in discussione solo:

– da una stampa distratta e distante dai soggetti reali e attivi sul territorio, tanto da aver bollato o comunque non aver replicato alla “balla spaziale” che voleva Giacomo essere un intruso: domenica ad Arcore Giacomo è pure intervenuto dal palco con un intervento di critica al PGT di Milano. Non solo non era un intruso (come del resto non si può dire di alcun altro partecipante) ma ha pure contribuito alla costruzione dell’evento attraverso l’apporto di contenuti, senza i quali si parlerebbe solamente di bunga bunga e cocaina

– da una classe politica che non essendo più in grado di nascondere le proprie malefatte e la propria azione di scippo (a vantaggio di pochi aristocratici) della ricchezza comune tenta di trovare legittimità delegittimando terzi, cercando di utilizzare le solite armi della repressione oggi meno semplice in forme dirette rispetto a un tempo anche per via di una presenza più diffusa di videocamere.

– da nuovi attori come il signor Mascia, autoelettosi rappresentante del popolo viola, che ha ritenuto di dover prendere distanze meramente ideologiche (e metaforicamente scorrette) dai manifestanti sedicenti violenti andando a difendere in maniera totalmente pregiudiziale le forze dell’ordine il cui operato va al massimo giudicato non a prescindere ma secondo l’effettivo loro comportamento. Non vogliamo qui citare i fatti che negli ultimi anni hanno macchiato di sangue l’atteggiamento delle forze dell’ordine in questo paese, sono fatti a tutti ben noti. Ci sembra però importante far sapere che il popolo viola non merita secondo noi un monarca e che le prese di distanza verbali e via web di molti di loro dalla “dissociazione” rispetto agli eventi di domenica. Ci conforta rispetto a un futuro in cui gli atteggiamenti autoritari e le volontà egemoniche cessino di esistere anche nel campo dell’opposizione sociale, campo in cui è fondamentale il coordinamento delle differenti vertenze territoriali: da parte nostra c’è la massima disponibilità al confronto e alla costruzione condivisa di piattaforme rivendicative e forme di mobilitazione.

Ci sembra necessario affermare che il Comitato NoExpo lavora alla luce del sole a difesa del proprio territorio contro mafiosi, speculatori e precarizzatori di ogni sorta, non intimorito da chi cerca di delegittimarlo attraverso i soliti vecchi giochini violenza/nonviolenza che sempre sono serviti, anche nella storia recente, a svuotare le lotte sociali dei propri contenuti. Continueremo a presidiare il territorio assieme alle altre differenti forme di opposizione sociale sentendoci mai come degli intrusi, aggettivo più confacente a finanza e mattone e agli arrampicatori sociali che sulle lotte sociali cercano di produrre poltrone e non il buon sano e necessario conflitto.

Comitato NoExpo – 9 febbraio 2011

Welfare alla milanese

50 milioni di euro. Ecco la cifra spesa in 5 anni dalla giunta Moratti per migliaia di consulenze.
Mentre la plebe meneghina si contorce tra disoccupazione e lavori instabili una minoranza di privilegiati si ingozza di soldi pubblici.
50 milioni dati in pasto a manager dal triplo incarico, professionisti dalle parcelle dorate, politici con il solito codazzo di voti di scambio.
50 milioni spesi nonostante il Comune conti oltre 15mila dipendenti tra cui decine di architetti, ingegneri, psicologi, giornalisti, educatori spesso utilizzati come inutili passacarte.
Tra i dirigenti più ingordi spicca Paolo Glisenti, ex di Palazzo Marino che si è spolpato quasi un milione di euro in meno di tre anni (29mila euro al mese).
Dietro a lui si affannano al trogolo 2.773 consulenti, una miriade di volti noti, associazioni no profit, studi professionali, università, professionisti del ‘progetto’ che spesso nascondono ‘amici’ della Giunta.
Tra loro personaggi multi-reddito come Alain Elkann e Red Ronnie, Piero Borghini e Alberto Bonetti Baroggi. Poi c’è il Garante per gli Animali (11mila euro al mese), gli oltre 600mila euro al Settore Comunicazione, un altro milione per la corte di Sua Maestà il Sindaco. Solo di parrucchiere, trucco e guardarobiere al seguito Regina Letizia spreca 50mila euro l’anno.
Risorse che vengono sottratte alle tasche della maggioranza: sono le rette degli asili e della refezione comunale, gli oneri edilizi e la TARSU, i servizi funerari e il commercio ambulante.
La bugia del ‘Non ci sono soldi’ ripetuta da 20 anni per dimezzare i dipendenti ed esternalizzare i servizi mostra il suo vero volto. Ecco cosa intendono per ‘merito’ e ‘privatizzazione’: la vergogna della parentopoli che da MilanoRistorazione investe tutte le società controllate da Palazzo Marino: Fondazioni, Fiera spa, Amsa, Atm, MM…
L’ingordigia degli incravattati che muovono le leve di Milano può essere ben paragonata agli enormi sprechi della corte di Luigi XIV°: sfarzo e lussi privati, precarietà di vita per la maggioranza, impunità alla muta dei nuovi nobili e ai loro caporali.
Eccoli sono loro! Guardateli tronfi mentre sprofondano nelle poltroncine di San Siro avvolti dal cachemire. Volti abbronzati che siedono in platea alla Scala, al Piccolo e alle sfilate di moda. Conoscono tutti, non pagano biglietti, multe, tasse.
Mentre un ritardo della retta degli asili fa scattare immediate ritorsioni alle famiglie inadempienti, per loro i controlli non esistono. Tasse per occupazioni pubblicitarie eluse. Pratiche edilizie dove liberalizzazione fa rima con evasione. Occupazioni di suolo con tavoli e sedie regalate a locali che fatturano migliaia di euro al mese. Sfilate di moda e stand commerciali in centro trasformati in ‘iniziative culturali’. I consulenti d’oro si fanno beffe delle ridicole multe propinate dalla Corte dei Conti nel marzo del 2009.
Un titolo sull’accondiscendente giornale di turno non fa che aumentarne la loro fama.
Oggi, invece, ci sono 50 milioni di motivi in più per strappare la ragnatela di privilegi che soffoca presente e futuro dell’area metropolitana milanese. Per staccare questi parassiti dalla pelle di migranti e precari, pensionati e famiglie in deficit, di chi a Milano crea ricchezza e progresso.
Quei 50 milioni di euro appartengono a noi, chi li ha buttati in pasto ai porci?